INDICE

Insegnamento 1: Eloquenza ed Oratoria
Insegnamento 2: Anatomia del Discorso. Regole e Precetti Oratori
Insegnamento 3: Figure di Parole e di Pensiero
Insegnamento 4: Formazione del Discorso
Insegnamento 5: Idee, Ordine, Forme e Parole del Discorso
Insegnamento 6: Il Discorso e l'Oratore
Insegnamento 7: Riflessioni sull'Applicazione delle Regole Enunciate
Insegnamento 8: Diversi Tipi di Eloquenza
Insegnamento 9: L'Improvvisazione
Insegnamento 10: Sintesi Critica dello Stile
Insegnamento 11: Igiene Verbale
Insegnamento 12: La Voce
Insegnamento 13: La Lettura
Insegnamento 14: Schema Storico dell'Oratoria
Insegnamento 15: La Predicazione nella Chiesa Cristiana. La sua Ortodossia
Insegnamento 16: Oratoria Soprannaturale dei Profeti Biblici

 

Insegnamento 1: Eloquenza ed Oratoria

“L'eloquenza (oratoria)”, dice Kant, “è l'arte di dare ad un serio esercizio dell'intendimento il carattere di un libero gioco dell'immaginazione; la poesia è l'arte di dare ad un libero gioco dell'immaginazione il carattere di un serio esercizio dell'intendimento.”
Quintiliano dice che “eloquentia est ars dicendi accomodata ad persuadendum quod honestum sit, quod oporteat” limitando colle sue ultime parole quello che Cicerone aveva scritto: “Officium oratoriae facultatis videtur esse: dicere apposite ad persuasionem; fluida persuadere dictione”. Ma in questa materia, l’eloquenza di Quintiliano conviene piuttosto all'oratoria, secondo molti autori che riservano il nome di eloquenza alla facoltà naturale di commuovere gli animi mediante la parola.
Risulta essere oratoria se a questa disposizione naturale si aggiunge l'arte che la coltiva e fa atta per tutti gli usi della parola.
Nonostante la sua origine naturale e di ubbidire a poderose cause spontanee, è necessario accorrere alle risorse dell'arte perché è evidente che senza di esse non si otterrebbe il fine che l'oratoria si proporsi esplicitamente.
Indubbiamente gli uomini rudi, i popoli selvaggi, le espressioni primitive stesse dell'uomo, offrono modelli di eloquenza naturale o, piuttosto, di espressioni eloquenti. Ma né Demostene, né Cicerone, né Bossuet avrebbe potuto comporre il minore dei suoi discorsi senza la costanza, senza l'amore allo studio ed all'arte che non li abbandonò un solo momento. In mezzo al furore della lite, delle commozioni popolari, delle assemblee turbolente, dovunque le passioni si irritano e straripano con furioso impeto, dalle labbra più rudi nascono eloquenti tratti, degni di trasmettersi alla posterità. Ma per combattere di fronte a fronte profondamente radicate preoccupazioni, per trionfare sull'incostanza degli ateniesi e sull’oro di Filippo, per annichilire l'audacia di un Catilina, per salvare ad una nazione di una bancarotta imminente, per sostenere la causa dell'indifesa Irlanda, per fare risuonare la voce della religione nei petti incancreniti per il vizio, la frivolezza e lo scetticismo, non basta essere nato colle doti più privilegiate ma è indispensabile una volontà di ferro per il lavoro, perché solo a forza di lunghi combattimenti e sofferenze può acquisirsi la scienza, la conoscenza dell'uomo ed il libero impero (gioco) dell'immaginazione, delle passioni e della parola.
E questa arte di parlare in modo che si ottenga il proposito per il quale si parli, richiede argomenti solidi, metodo chiaro ed essere l'espressione di probità dell'oratore, insieme alla grazia dello stile e dell'espressione, essendo il buon sentito il fondamento di ogni discorso.
Questa “arte” della persuasione ha multipli aspetti. Ma è necessario chiarire la differenza che esiste tra “convincere” e “persuadere.” La convinzione è relativa solamente all'intendimento; la persuasione alla volontà ed alla pratica. Officio sarà del filosofo convincere, ma officio del'oratore sarà persuadere ad operare conforme alla convinzione della verità. La convinzione non va sempre accompagnata dalla persuasione. Veramente esse dovessero unirsi insieme: e così sarebbe se l'inclinazione seguisse costantemente il giudizio dell'egoencia. Si può essere convinto che la virtù e la giustizia sono lodevoli e non essere allo stesso tempo persuaso ad operare conforme ad esse. L'inclinazione può opporsi benché sia il giudizio soddisfatto e le passioni possano prevalere contro l'intendimento.
Allora sarà mestiere dell'oratore, persuadere all'essere ad operare conforme alla sua convinzione.
Si stabiliranno tre gradi di eloquenza oratoria: il primo ed infimo è quello che unicamente guarda o piace agli uditori; tale è in generale l'eloquenza dei panegirici, delle orazioni inaugurali ed altri. È genere ornamentale di composizione. Il secondo è più elevato ed è quando l'oratore aspira non solamente a piacere ma anche ad informare, istruire e persuadere. Ed il terzo grado è quello che ha influenza in gran maniera sull'anima e per lui è convinta ed interessata, commuovendola e trascinandola con l'oratore per disporla finalmente a risolversi ad operare conforme alla causa esposta. Generalmente questo tipo di eloquenza va accompagnata da una certa sublime passione che infiamma il cuore dell'oratore e trasmette una specie di fuoco vocazionale agli uditori.
Gli antichi dividevano la locuzione pubblica in tre generi: il dimostrativo era la lode o il vituperio; il deliberativo che suppone la persuasione e la dissuasione; ed il giudiziale (accusare o difendere) che può riferirsi alle giunte popolari, al pulpito ed al foro rispettivamente.
Rispetto a quello che Quintiliano dice: “L’arte deve osservare principalmente il decoro” si aggiungerà il consiglio di Cicerone agli oratori nel suo “Oratore, a Bruto”: “La saggezza è il fondamento dell'eloquenza, come di tutto il resto. La cosa più difficile in lei, come nella vita, è vedere quello che la decenza chiede, e molte volte si sbaglia perché s’ignora questo. Dunque non si deve parlare con uno stesso stile e con stessi pensieri ad uomini di differenti classi, età e fortuna ed in differenti tempi, luoghi ed auditori. In ogni parte del discorso si deve soddisfare come nella condotta quello che è decente, vedendo quello che il tema che si tratta, le persone che parlano e quegli a chi si parla richiamano”.
Naturalmente la cattiva reputazione dell'oratore disturba singolarmente agli effetti della sua eloquenza, ancora quando questa sia davvero ardente e spontanea. L’etica non può scappare dall'estetica. Così la probità professionale dell'oratore forense, le abitudini esemplari e la pietà dell'oratore sacro, lo specchiato civismo dell'oratore politico, la rinomanza scientifica dell'espositore di dottrine in accademie, aule e congressi, intervengono nell'oratoria a modo simile che i prismi di diafano cristallo che centuplicano la potenza della luce.
Inoltre egli bisogna una completa serenità di spirito, un valore contenuto e giudizioso, l'impero di sé stesso, per conservare fino a momenti di più entusiasmo il pieno dominio della sua volontà.
Deve avere una sensibilità virile e profonda, non molla e languida, cercando liberamente nel suo cuore la veemenza, quando ha bisogno di questa. E dalla sua autoconoscenza dovrà sorgere quella sulla miseria e grandezza umana che mediante una voce gradevole, una reputazione virtuosa, convinzione, valore, audacia, intrepidezza, sensibilità, flessibilità, memoria, abitudine della riflessione solitaria, trasmettano il suo discorso intrinseco per mezzo dell'estrinseco.
A queste qualità deve unire le qualità intellettuali di una ragione solida, uno spirito generalizzatore, analitico e metodico, giudizio rapido e sicuro, e l'ingegno e la cautela del dialettico, senza arrivare all'abuso di esagerare sottigliezze fino a convertirsi in sofistico.
Conoscerà l'eloquenza del silenzio quando sia necessario, quella dell'azione, indipendentemente della parola e, su tutte queste, l'eccellente dell'amore per la causa abbracciata, sapendosi permanentemente capace di offrire la sua vita per l'ideale abbracciato. L'autorità che germoglia della fedeltà non potrà mai essere superata per nessuna regola né precetto oratorio. Ed è importante che sappia questo da un principio.

 

Insegnamento 2: Anatomia del Discorso. Regole e Precetti Oratori

Come si è affermato già nel primo Insegnamento di questo corso, l’oratore potrebbe ottenere poco frutto dalle sue qualità naturali se queste non fossero coltivate, ed solo in questo senso, nella necessità di coltivare le facoltà ricevute, può ammettersi la frase latina “poeta nascitur, orator fit”. Non si chiede oggi        –come voleva Quintiliano che si occupò estesamente dell'educazione dell'oratore in un libro ammirabile– che quest’educazione deva cominciare dal grembo della nutrice, ma è evidente che l'oratore deve procedere ad una vera coltivazione e sviluppo delle sue facoltà naturali se vuole ottenere che la sua parola convinca, persuada e commuova. Questa educazione deve essere scientifica ed oratoria. La prima abbraccia l'acquisizione delle conoscenze in cui ogni eloquenza solida sta appoggiata. Il fondo di questa scienza deve abbracciare, primo e principalmente, le materie appartenenti ai temi della sua incombenza: nell'oratoria sacra la teologia dogmatica e la morale, le Sacre Lettere, la storia della sua chiesa; nella politica la dottrina del governo, la storia del paese; nel medico forense la conoscenza delle leggi e dei suoi principi. In secondo posto, le conoscenze più allacciate con l'esercizio dell'oratoria:  logica, psicologia, studi generali storici e letterari, ed in terzo posto, un'istruzione totale più estesa possibile e non ferma solo fare applicazione immediata delle conoscenze acquisite bensì per il lievito che lasciano nell'intelligenza.
Ma deve ricordarsi in questo punto, in primo luogo, che sebbene siano esistiti oratori che, fuori di questa qualità, sono stati saggi eminenti e sarebbe di desiderare che ci fossero molti in ogni materia, gli studi scientifici dell'oratore possono sottomettersi a limiti più stretti di quelli del saggio; secondo, che l'oratore deve offrire il fiore della scienza e non dimenticare, nei casi che il suo oggetto esclusivo non sia insegnare, la differenza tra una composizione oratoria ed una lezione didattica; e terzo, che le conoscenze sono lettera morta per la quale deve muovere gli animi se non li fertilizzano lo studio pratico degli uomini, di sé stesso e della sua materia dovunque si trovi.
L’educazione oratoria comprende: la coltivazione simultanea delle differenti facoltà, cercando di rinforzare i più deboli affinché i più forti non raggiungano un predominio che distrugga l'armonia che tra tutte esse devono regnare; lo studio dei modelli non solo classici, bensì piuttosto contemporanei e la cosa più d’accordo possibile col suo genere speciale di oratoria e temperamento, nel quale non cercherà forme isolate che imitare, bensì una coordinazione generale per improvvisare dopo, cercando in questo di essere sobrio per non acquisire l'abitudine della verbosità e la scorrettezza, e lo studio della teoria e la lettura di buoni giudizi critici delle opere oratorie.
Sono qualità inerenti al discorso:
La correzione: per riuscire questa condizione fondamentale all'esposizione oratoria è necessario evitare la terminologia stravagante, snob o antiquata che operano in detrimento della chiarezza totale del discorso.
La chiarezza: per ciò è essenziale non parlare di un tema che non se lo capisca perfettamente, sotto pretesto di ricevere l'ispirazione nel momento opportuno che significherà tanto quanto pretendere di obbligare a Dio alla propria volontà. Che i periodi non siano né troppo lunghi né troppo brevi; alcuni affaticano ed altri lasciano vuota l'anima dell'uditore. La varietà è sempre una soluzione di buon criterio. Anche è necessario non fare sfoggio di ingegno, quello che irremissibilmente conduce all’ampollosità del discorso. La Bruyère disse di chi abbondano in sottigliezze e concetti: “Hanno due capitali difetti: uno, non avere talento, ed altro, impegnarsi a mostrare che l'hanno”. Pregiudica molto alla chiarezza la mancanza di conoscenza dell'oratore su la materia che tratta. Ricordi che la concisione è alleata della chiarezza: “Buono, se breve, due volte buono”. Evitare le ripetizioni inutili aiuta a questa chiarezza espressiva. La spontaneità apporta non in grado poco importante a questa pristina qualità del discorso; ricordi che si soffre in quello che si crede che altri soffrano o hanno sofferto, ed un oratore che si ritorce in ricerca dell'espressione appropriata inquieta molto nell'audizione che deve essere necessariamente serena. È necessario, dunque, meditare molto la materia che si tratterà, di dove germoglierà la fluidità.
Sonorità e cadenza: l'elezione diligente delle parole, la sua collocazione scrupolosa in ogni parte del discorso, la forma e la durata dei periodi creano la musicalità a che si allude, denominata anche armonia o più propriamente melodia. Le forme dell’orazione –interrogativa, affermativa ed espositiva– costituiscono elementi di questa parte dell'oratoria che non si devono trascurare e coi quali si deve procedere con molta misura.
Si cerca ora di riassumere, dopo delle qualità interne del pezzo oratorio, quelli convenzionali che è anche necessario che l’oratore praticamente conosca e riconosca. Si riassumeranno sotto il comune denominativo di tropi.
Metafora: consiste in trasportare il proprio significato di una parola ad altro significato differente: “Mattina della vita; inverno dell'età”. Ogni metafora contiene una somiglianza nascosta.
L'allegoria non è più che una metafora continuata, relativa in tutto il suo corso allo stesso oggetto che si prese come emblema.
Metonimia: comprende tutti i generi di trasferimento e prende l'antecedente per il conseguente, la causa per l'effetto, il continente per il contenuto, l'autore per le sue opere o al contrario: “Un esercito di cento lanci; rispettare nostri capelli bianchi”.
Sineddoche: usa la parte in luogo del tutto o viceversa; esempio: tante vele in vece di tante navi; il genere invece della specie: “L'angelo è condizione congenita dell'Umanità” (umanità in vece d’uomo); la materia in vece della cosa stessa: “Il suono del bronzo”; l'astratto per il concreto ed al contrario.
L'Ironia: consiste in fare capire il contrario di quello che si dice. Questo significato non sta nella parola bensì nel tono che l'accompagna.
L'iperbole: consiste in esagerare o deprimere una cosa più di quello che lo permettono i termini naturali; così una lieve stoccata è “puntura di uno spillo”, un gran lago è “come un oceano”.
L'antonomasia: consiste in mettere il nome generale per la questione o contrario, come in distinguere uno per una qualità notevole col nome di altro che la possedesse in alto grado. Così si dice: è un Cicerone, di uno che è molto eloquente; è un Nerone, di altro che è molto crudele.
È vero che l'oratore dà spontaneamente mano ai tropi e ciò è, precisamente, quello che dà la bellezza e l'armonia al suo discorso. Risulterebbe assurdo che, in mezzo alla sua esposizione, si fermasse a riflettere su quale tropo corrisponderebbe utilizzare. Ma nella sua meditazione solitaria, nel suo studio, nel suo esercizio dovrà, sì, praticare con tutte ed ognuna di queste figure affinché, domani, siano l'espressione fluida che adorni il concetto arido, la vigorosa discorsa dottrinaria, l'espressione esterna di un’esperienza intima e segreta.

 

Insegnamento 3: Figure di Parole e di Pensiero

La “figura”, strettamente parlando, è quella modificazione nell'impiego o il significato delle parole che offre maggiori possibilità al discorso. Devono avere dette forme del pensiero o del linguaggio due caratteri essenziali affinché con ragione ricevano questo nome: che possano essere sostituite facilmente per una forma più semplice, per una forma non figurata, e che esprimano l'idea o il pensiero con più vivacità, più grazia o con più energia.
Le “figure” sono l'espressione naturale di certi stati di animo, di certe modificazioni dell'anima che esigono un linguaggio essenziale, per così dirlo, in consonanza con lo stato spirituale e che non è possibile trovare nella costruzione esclusivamente logica e grammaticale bensì in questo linguaggio “figurato”. Non sono invenzione dell'arte; l'uomo di passioni violente, rude e senza istruzione, usa e si avvale del linguaggio figurato. L'arte retorica insegna solamente ad usare abilmente tali figure o, per meglio dire, quello che ha fatto è stato scoprirli e classificarli. E di qui ha dedotto le regole per il suo meglio impiego.
Studiate come licenze per dare varietà, bellezza ed energia all'espressione, prendono il nome di figure di costruzione nella grammatica spagnola. Dette “figure di costruzione” –che solo a titolo informativo si trovano qui e come complemento di quelli che di seguito si vedranno separatamente ed attentamente, relative all'eloquenza– si diminuiscono a tempo debito a quattro in questo ordine: l’iperbato, l'ellissi, il pleonasmo e la sillepsi.
Figure di parole:
La ripetizione: consiste in ripetere all'inizio la stessa voce di tutti gli incisi, membri o periodi. Dice Cicerone: “Scipione rese a Numanzia, Scipione distrusse a Cartagine, Scipione salvò a Roma dalla rovina delle fiamme”. “Niente tratte, niente macchini, niente pensi.”
La conversione: si commette quando la parola si ripete non già all'inizio di ogni inciso, membro o clausola, bensì nel suo fine. L'autore citato dice: “Piangete la perdita di tre eserciti? Antonio li perse. Deplorate la morte dei vostri più illustri cittadini? Antonio vi lo rubò...”.
La costituzione: è l'unione delle due anteriori e consiste in cominciare e concludere le clausole con la stessa parola: “Chi ha rotto i trattati? Cartagine. Chi ha distrutto l'Italia? Cartagine...”.
La co-duplicazione: ripete consecutivamente in uno stesso inciso la stessa parola. “Vivi, vivi e non per deporre bensì per aumentare la tua audacia.”
La gradazione: è la salita o discesa che si dà al pensiero per mezzo della parola. Può essere ascendente o discendente. Si dice nella prima: “Per un chiodo si perde un ferro di cavallo, per un ferro di cavallo un cavallo, e per un cavallo un cavaliere”. Nella seconda: “Non si interessa sull'umanità, nemmeno per le nazioni, nemmeno per gli individui”.
Figure di pensieri:
Figure per dare o conoscere gli oggetti.
Descrizione ed enumerazione: se l'oggetto è unico, si descrive; se sono vari, si enumera.
Figure per comunicare raziocini e riflessioni:
Comparazione: simile alla metafora, ma in quello è nascosta ed in questa disinvolta.
Antitesi: se la comparazione si fonda sulla somiglianza, l'antitesi si fonda sull'opposizione. Affinché risalti meglio il contrasto è necessario dipingere con molta proprietà i due estremi opposti.
Figure per attenuare un'idea:
Preterizione: si finge passare in silenzio o indicare solo molto leggermente quello che, tuttavia di questo artificio, si annuncia di una maniera molto chiara e si fissa con pochi ma molto marcati tratti.
Reticenza: è la figura per la quale l'oratore si mostra contenuto in mezzo al suo fuoco o impetuosità per alcuna considerazione di pudore o di prudenza che gli succede in quell'istante e che l'obbliga a trattenersi ed a riservare l'idea o frase che andava ad emettere.
Figure per esprimere e muovere gli animi:
Interrogazione: è la più pronta, energica ed urgente.
Soggezione: mediante questa figura l'oratore domanda al suo avversario o uditori, incaricandosi lo stesso di dare la risposta.
Dubitazione: per questa figura l'oratore si mostra dubbioso di quello che deve dire o fare, benché lo sappia molto bene e l'ha anteriormente risoluto.
Esclamazione: espressione viva di affetti.
Optazione: si esprime un desiderio: “Magari Mila potesse spegnere questo lampione! Vogliano gli dèi che la sua bocca rovesci...”.
Deprecazione: è l'espressione di un desiderio accompagnata con una supplica diretta ad alcuna persona affinché acceda alle suppliche.
Imprecazione: minacci e maledizioni.
Comminazione: il suo proposito è intimidire facendo visibile il male che potrà sopravvenire agli uditori.
Apostrofe: per questa figura l'oratore allontana la sua vista dagli uditori per dirigere la parola ad oggetti assenti, a Dio, alla terra, ai morti ed ancora ad esseri inanimati o metafisici.
Personificazione e prosopopea: questa figura di pensiero per movimento presta alle cose insensibili, sentimenti e passioni come se fossero dotate di azione e parola.
Oltre a queste esistono molte altre figure, tanto di parole come di pensieri che si sono esclusi per considerare solo quelle capitali per il discorso ed essere la maggioranza di esse ripetizione di quelle enumerate, assottigliando più certi aspetti presi generalmente in quelle che formano questa lista. Così tra le figure per comunicare raziocinio e riflessioni, si potrebbero includere la concessione, la correzione o l'amplificazione, ma si tratterebbe sempre di comparazione ed antitesi.

 

Insegnamento 4: Formazione del Discorso

Linea filosofica e svolgimento dei suoi principi.
Si osserva che la retorica propone nella formazione del discorso la seguente discriminazione: esordio o introduzione, proposta, divisione, narrazione, argomentazione o parte di prova, confutazione, parte patetica o di effetti, epilogo e conclusione. Ma discorrendo un po' si osserva che questa enumerazione non è esatta.
L'esordio ha per oggetto preparare all'auditorio e, quindi, è inutile quando lo è trovato già preparato. Cicerone, approfittando di questa disposizione favorevole dell'auditorio comincia direttamente la sua celebre arringa: “Quousque tandem abutere Catilina patientia nostra?”.
La proposta si omette in generale perché va avvolta nel pensiero ed oggetto del discorso e perché esporla in termini precisi darebbe a quello l'aria di scolastica che disdice la sua elevazione e naturale scioltezza.
 La divisione non si necessita bensì nelle materie e questioni molto complicate; deve omettersi purché sia possibile perché pregiudica l'unità che è la qualità più importante di ogni pezzo oratorio.
La narrazione non ha luogo negli Orazioni politici in cui esiste solo una semplice esposizione. La divisione, dunque, può mancare negli Orazioni e manca frequentemente. Quello che non può mancare è il piano che devono avere sempre, né lo svolgimento dell'idea che domini in essi.
Ma è necessario presentare queste regole classiche a che deve adattarsi l'ipotetico discorso al fine di lasciare senza uso quello che si creda conveniente, previa conoscenza del tutto.
Esordio o introduzione. Non ha un altro oggetto che quello di preparare gli animi dell’auditorio, accattivandosi l'oratore la sua attenzione, interesse e benevolenza per venire ad abbordare naturalmente la questione.
L'oratore quando sta per iniziare la sua esposizione deve esaminare e conoscere la disposizione di quelli che ascoltano. Questa può essere indifferente, favorevole o contraria. Se l'indifferenza domina, l'esordio deve cercare di rimpiazzarla per l'interesse; se le prevenzioni sono favorevoli, l'introduzione deve aumentare il valore di questa circostanza e se l'auditorio è prevenuto in contro, è necessario innanzitutto che l'esordio distrugga e sradichi questa disposizione.
Ogni esordio deve essere proporzionato alla misura che debba avere il discorso, e soprattutto notevolmente chiaro. Non c'è niente che prevenga tanto contro l'oratore e contro il discorso che ancora non si è sentito, come ascoltare per esempio un esordio enfatico, pieno di pensieri sottili e ridicoli concetti stretti, e di frasi forzate. Se il linguaggio deve essere naturale, chiaro e semplice, il tono, il gesto e la fisionomia devono essere modeste, più a proposito per interessare ed accattivarsi l'attenzione e buona volontà. I tropi e figure devono corrispondere alla chiarezza e semplicità che reclama per la sua natura.
L'esordio è una parte del discorso e come tale deve essere intimamente legato con lui. Di questo si deduce che, per regola generale, ogni esordio che può escludersi, senza che tolga niente alla totalità, è cattivo.
Alcuni autori consigliano che gli esordi si preparino dopo di avere disposto tutto il discorso. Questo metodo può essere vantaggioso nel principiante ma non si giudica opportuno nemmeno utile a quelli che siano già esperti nell'eloquenza, la quale da quando tracciano nella sua mente il piano o la periferia del circolo che vogliano percorrere, conoscono il punto del quale devono partire e quell'al che devono arrivare.
Proposta. Si disse che la maggioranza delle volte si omette per non essere necessaria. Se qualche volta si stabilisce, specialmente nell'oratoria sacra, deve essere breve e chiara, in modo che richiami attenzione bene agli uditori e si ricordi con facilità, affinché si veda che è l'asse sul quale gira tutto il discorso nel suo successivo svolgimento.
Divisione. Si annunciò già che la divisione è poche volte necessaria e deve omettersi purché si possa, perché ha il grave inconveniente di rompere l'unità. Non si dimentichi che la recettività dell'intelligenza umana è limitata e è necessario facilitare ed appianare i cammini alle sue concezioni invece di circondarli di difficoltà e tenebre.
Narrazione. A volte precede ed altre segue alle parti che si sono percorsi. Deve essere la cosa più breve possibile e soprattutto sommamente chiara, perché deve servire all'auditorio, in tutto il progresso del discorso, come punto continuo di partenza e come punto continuo di riferimento. L’oratore deve essere scrupolosamente esatto e verace nella narrazione.
Argomentazione. Nella sua essenza, questa parte tocca piuttosto alla logica che all'eloquenza. Le prove che vengono in conferma dall'esposizione e tema stanno nei sistemi scientifici, religiosi e sociali, nei libri, e nelle combinazioni che si formulano. Deve, soprattutto, aumentare il valore delle prove ed argomenti mediante riflessioni morali ed allusioni storiche abilmente combinate ed esposte.
Confutazione. Naturalmente che ci sono materie, oggetti e casi che non ammettono prove né confutazione, e menzionando le figure si presentarono quelli che si possono usare per anticipare le confutazioni degli argomenti esposti per l'oratore. Questa parte del discorso è applicabile generalmente al foro o parlamento, più che all'oratoria sacra o religiosa, dove eccezionalmente solo si potranno confutare le parti, supponendo che esistano.
Parte patetica o di affetti. La retorica raccomanda qui che l’oratore deve usare tutti i suoi mezzi, tanto nella forza delle idee come nella sua veemenza e nel colorito delle immagini. Se nell'esordio si cercò di conciliare l'attenzione e la benevolenza degli uditori; se nella narrazione si presentò la materia con metodo e chiarezza per collocarla all'altezza di tutte le capacità; e nelle prove si aspirò a registrare una convinzione perfetta e profonda nell'intendimento di quelli che ascoltavano, l'oggetto deve interessare al cuore in questo periodo del discorso senza omettere niente che può commuoverlo favorevolmente; emotività non appassionata in eccesso bensì con una certa aria di solennità, con un'aristocratica veemenza, seguendo l'ispirazione e lasciandosi portare dell'impulso interno più che della logica mentale, senza dimenticare, ciononostante, l’ilazione, l'essenza ed oggetto del discorso. Questa sarà la faccia della conquista, essendo gli anteriori, di preparazione affinché, arrivato a questo punto, l'uditore si trovi preparato per la buona semina.
Epilogo o conclusione. L'epilogo non è più che il lampo, nel totale del discorso perché, se fosse un'altra cosa, equivarrebbe ad una seconda edizione della stessa.

 

Insegnamento 5: Idee, Ordine, Forme e Parole nel Discorso

L'oratore deve trovare gli argomenti, presentarli in un ordine conveniente, adornarli con parole ed esprimerli con decenza e decoro. Ed questo è stato chiamato: invenzione, disposizione, allocuzione e pronunzia.
Invenzione: consiste in trovare le idee ed argomenti con che si proporsi formare il discorso.  Come si trovano? A che fonte deve ricorrersi? Perché l'intendimento si rifiuta molte volte di prestare questo servizio?
Un autore ha detto che tutto è sterile per gli spiriti sterili, senza autocultivazione; che tutto è superficiale per gli spiriti superficiali e che tutto è caos per gli spiriti oscuri. La misura degli esseri e gli oggetti con relazione all'anima sta nell'anima stessa. Il privilegio della meditazione e l'interiorità sta, dunque, in trovare nelle cose relazioni più importanti e rappresentarli con forme che corrispondano a questa grandezza. Lo stesso oggetto ritratto per una piuma o lingua meschina acquisisce forme sublimi in un'altra lingua o piuma.
È necessario acquisire certe conoscenze per l'abitudine di riflettere sulle cose e gli esseri. Un esame continuo e profondo sulle materie che si occuperanno, sono tutte sorgenti dell'invenzione e di dove si tireranno fuori le risorse.
La lettura esterna è come quegli alimenti che non si digeriscono; non alimentano all'anima. Bisogno è che la riflessione abbondi su ogni pagina scelta. Altrimenti le idee saranno fugaci e niente rimarrà nella memoria, di dove dopo l'oratore estrarrà il materiale del suo discorso. La meditazione, dopo, depurerà ed orienterà detto materiale riflessivo.
Avvicinarsi all'oggetto, esaminarlo in tutte le sue dimensioni, raccogliere tutte le idee che gli convengono, comporle e scomporle successivamente, scoprire il punto di vista più interessante in cui devono essere presentate, darle infine in piano e forme di enunciazione, ci sono lì il lavoro e frutto dell'invenzione oratoria.
Della “disposizione” si è trattato già segnando le parti che può constare un'arringa e rispetto all'allocuzione si parlò di lei nei tropi e figure. Veda le regole della pronunzia.
Pronunzia: forse non ci sia nient'altro più importante che la pronunzia in ogni discorso. Un giorno domandarono a Demostene quale era la parte principale dell'oratoria e rispose: “La pronunzia.” “E dopo di questa?”, gli tornarono a domandare; “La pronunzia”, rispose. “Ma, e dopo la pronunzia?”, insisterono per la terza volta. “La pronunzia” fu anche la terza risposta. Naturalmente che detto oratore ateniese contava su seri motivi personali per pensare tanto eccessivamente. Ma con ragione la riferiva quasi esclusivamente a questo elemento di misura e di sonorità.
In tale modo è straordinaria la differenza tra sentire ad un oratore e dopo leggere il suo discorso stampato. La parola stampata è appena l'ombra del verbo vibrante, trasmesso vivamente.
L'intonazione, le inflessioni ed il gesto suppliscono molto al pensiero o piuttosto l'ampliano e chiarificano, e l'oratore che pronunzia bene dà caldo dove molte volte per la logica non esiste, e produce armonia dove retoricamente è necessario e naturalmente non esiste. Così pure il migliore discorso, male pronunziato, perde tutte le sue attrattive. Ad una donna si la può chiamare bella e, secondo l'intonazione di cerimonia, di veemenza o di scherzo, la parola significherà un mero compimento, una passione viva o una piccante ironia.
Lo stesso pezzo pronunziato abilmente nella tribuna, e dopo letto, benché si copi meticolosamente, smette di essere la stessa cosa. Perché? Perché l'azione che è un linguaggio che viene in aiuto da un altro linguaggio, il tono, le modulazioni della voce, il gesto e l'espressione della fisionomia, a volte, sono tutti alleati poderosi che l'oratore approfitta bene e non possono trasmettersi alla carta nella quale solo può tracciare una copia morta al lato ed in comparazione col quadro vivo ed animato che si alzò nel luogo del discorso. L'eloquenza dell'azione è dunque tanto più persuasiva di quella della parola.
Consideri separatamente il tono, le inflessioni e la celerità in quanto alla voce.
Tono: si dirà per regola generale che non deve prendersi l'intonazione tanto alta incominciando un discorso come si fissa dopo, non solo perché altrimenti l’oratore si affaticherebbe pronto ma anche perché sarebbe molto improprio cominciare allora con grandi voci una discussione tranquilla e placida.
Inflessioni: si può dire che la voce umana è uno strumento che ha una corda distinta per ogni emozione. Ad una di godimento corrisponde una parola abbondante, leggera, animata e viva. Ad una di pena acuta seguono suoni quasi inarticolati che vengono a morire in un gemuto compassionevole; un dolore profondo chiede una parola lenta e di un campanello grave; gli scatti della disperazione si annunciano con un linguaggio di caldo e movimenti, ed infine le impressioni della felicità hanno per interprete una parola dolce, tranquilla ed affettuosa. Qui, come prova, è sommamente utile e si raccomanda.
Celerità: per regola generale la parola, specialmente nell'emotività, corre con più celerità alla fine dei periodi. Facile è conoscere l'esattezza di questa osservazione. Il linguaggio è riflesso del pensiero e di lui riceve l'ispirazione, l'impulso e le eccitazioni. È forzoso che si acceleri o sospenda più o meno secondo le vibrazioni più o meno lente, più o meno vive, che riceva di dentro; e come queste sono sempre più rapide nei finali, diventa indispensabile che la lingua segua alla precipitazione che l'anima gli trasmette. Ma il pensiero non sembra ubbidire alle stesse leggi di gravità che i corpi fisici: accelera il suo movimento man mano che si avvicina al suo termine.
Converrà fare alcune leggere pause concludendo qualche periodo importante.
In generale si può dire che non si deve parlare tanto velocemente che si perdano le parole, né tanto lentamente che l'auditorio, nella sua impazienza, si assenti mentalmente o fisicamente. Tutto ciò anche regolato alla natura del discorso: non sarà la celerità la stessa davanti a densi concetti filosofici che davanti ad un'assemblea politica.
Il gesto: è un mezzo utile per fare notare e sentire quello che si dice. Molte volte rivela aspetti che le parole non esprimono. Ma deve usarsi con parsimonia e gran misura.
Ricordi che la fisionomia è fedele riflesso della veracità o falsità di quello che la lingua espone; soprattutto ciò è molto certo in quello che riguarda agli occhi.
In quanto agli altri movimenti non devono essere di tutto il corpo, ma l'azione deve partire del braccio. Il destro è di più uso, ma non per questo motivo il sinistro deve rimanere completamente immobile. La posizione dell'oratore deve essere retta, un po' inclinata in avanti perché così il corpo rimane con più libertà e scioltezza.
Anche i movimenti perpendicolari, questo è, linea retta dall'alto in basso che come dice Shakespeare in Hamlet, tagliano l'aria con la mano, devono essere vigilati perché raramente sono buoni. Gli obliqui sono in generali i più attraenti. Devono evitarsi ugualmente i molto subitanei e leggeri.
Questa forma esterna, chiamata “eloquentia corporis” è di gran interesse e non deve trascurarsi. Ma non si dimentichi una necessaria misura ed un'auto-ispezione costante nel discorso per non cadere nell'esagerazione o nella freddezza che non concordano con l’esposizione.
Ovviamente che tutte queste licenze e regole sono riferite al tipo ordinario di oratore, e la sua validità, conseguentemente, è relativa all’oratore ed alle circostanze, luoghi e situazioni anche comuni, ai quali dovranno adattarsi.
I temperamenti vocazionalmente predisposti, gli Iniziati, mistici, saggi e santi di tutti i tempi stabilirono –secondo la caratteristica e le circostanze della sua missione– il canone, il metodo e la disciplina. Naturalmente che questi casi sono sempre eccezionali e non potranno mai essere presi come “tipo” per formulare da lì l’aspetto didattico totale. Ma molte volte ancora questi stessi esseri ubbidirono al metodo, alla sintesi di esperienza che una regola suppone, per ovviare ritardi che non si giustificassero.
Il genere di comunicazione che si stabilisce tra un gran oratore politico o religioso ed il suo pubblico o fedeli non era in assoluto quello che si stabiliva tra Gandhi ed i suoi scettici uditori parigini, come uno spettatore diretto lo osserva.
Spiegava ad una sala strapiena quello che capiva per no-violenza. Senza alterarsi, senza titubare, rispose a tutte le domande che lo furono formulate, molte di esse imbarazzanti per qualsiasi altro. Vera formulazione della sua dottrina erano la sua presenza di spirito, giustezza, sincerità e pazienza inalterabile. Il pubblico, a poco a poco, fu conquistato da quell'ometto sgradevole che non utilizzava nessuna delle ricette abituali dell'oratoria classica, che parlava con un'estrema semplicità, senza eloquenza né finte di oratore, con una voce che non si alzava mai e con un tono, benché molto gradevole, che non possedeva nessuna qualità particolare.
La comunicazione tra lui e quello pubblico arrivava attraverso un'altra via che l'ordinaria, in modo che quell'uomo, che parlando della sua fede nella verità, nella no-violenza e nell'amore, ripetendo assiomi più comuni che due e due sono quattro, infiammava ad una sala, possedeva un altro linguaggio che quello dell'apparenza, e la qualità della sua parola non dipendeva dalla lingua, ancora quando questa era un inglese corretto, né di nessuna risorsa raccomandabile.

 

 Insegnamento 6: Il Discorso e l'Oratore

Regole per preparare il discorso. È necessario, innanzitutto, che l'oratore si dedichi molto alla lettura di libri scelti, dove la bellezza e l’energia del linguaggio si trovano unite all'erudizione seria ed alla solidità delle idee.
Non si sa che cosa ha continua influenza sulla sua formazione. Finisce per contrarre, senza notarlo, l'abitudine di discorrere ed esprimersi con scioltezza ed eleganza quando si tiene sempre a mano libri che emergano in questo vantaggioso tipo. Ma non basta leggere; è necessario darsi ad un lavoro mentale molto accurato per continuare a dare differente giro a tutti i periodi dell'opera che si legge, cercando di cambiare la sua fisionomia e, se è possibile, migliorarla.
In ognuna di queste prove svolte silenziosamente nel laboratorio intimo si nota che si vanno rompendo gli intoppi e difficoltà in cui la ragione e la lingua inciampavano e che cominciano a crescere le ali che permetteranno di provare qualche breve volo.
Un altro degli esercizi che più conducono allo stesso oggetto è quello di tradurre. La traduzione ha due vantaggi: presentare un tipo al pensiero nell'opera che si tradursi e dovere passare per forza rivista ad un cresciuto numero di parole, col quale insensibilmente si acquisisce un tesoro di voci.
Con questi esercizi previi si può cominciare a fare intenti di comporre. Scelto il tema deve meditarsi molto su lui per trovare i pensieri e coordinarli in modo che abbiano tra sé l'incatenamento, la filiazione e la dipendenza che siano più naturali e logici. L'oratore, isolato nella sua solitudine, dedito al suo affanno di analisi ed investigazione, si muove in un circolo di idee ed immagini che ad ogni passo si ingrandisce ed in questa specie di panorama intellettuale sceglie e conserva quelle che più conducono alle sue mire. Questa disposizione mentale e questa composizione riflessiva sono necessarie per disporre l’animo alla vera eloquenza.
Abbia in conto questa avvertenza: non si lavori mai in fretta, specialmente all'inizio, perché volere arrivare troppo pronto equivale a non arrivare mai. Un'altra osservazione: non si abbozzino Orazioni lunghi, perché questi si debilitano nella sua stessa estensione e finiscono sempre per affaticare all'auditorio.
Anche è necessario che esistano giorni e momenti in cui tutto accorre con una sollecitudine ed una facilità meravigliose. Sembra rotto il laccio che lega all'anima con la parte grossolana e materiale, quando il verbo si alza attrativamente in sottilissime regioni. Ma ci sono altri giorni e momenti funesti ed infecondi in cui il pensiero sta restio e pigro e non riesce a formularsi, le idee si scorgono in un lago di tenebre, ed incluso la lingua si nega a prestare il suo servizio. La semplicità, l'umiltà e la pazienza sono risorse ottime in questa alternativa. A volte la solennità. le parole che si sono scelti nella solitudine e nello studio, la serenità ed una certa ricercata lentezza offrono il cerimoniale propizio per salvare questo scoglio.
Si aggiungerà una regola molto speciale: quando l'oratore ha combinato già le sue idee, quando li vedi con chiarezza e conosce la sua unione ed affinità, quando le sue meditazioni gli hanno somministrato il caldo e la vivacità necessaria e ha abbondanti immagini per ispirarlo al suo corso, allora come preparazione solo si dovrà scrivere le divisioni, l’ordine del discorso e le idee capitali che devono servire come punti di partenza. Per questo con molto pochi bastano. E, a volte, anche queste dopo non devono essere consultate.
Regole generali per l'oratore. La prima è quella che raccomanda che sia modesto. Quando l'oratore si presenta intrepido o petulante, si ribellano contro di lui gli animi che doveva fare docili e benevolenti, e le sue parole si ascolteranno con prevenzione.
Questa precauzione è doppiamente consigliabile all'oratore giovane e principiante. Gli anni e la reputazione acquisita danno una certa autorità per insistere fermamente ed irrevocabilmente in un'opinione enunciata.
Ma è necessario che questa modestia non degeneri in timidezza. La serenità e la calma dello spirito si conciliano molto bene con la modestia, e senza quelle qualità è impossibile da ogni punto di vista pronunziare un discorso e molto più un'improvvisazione. La paura offusca la ragione, ottenebra l'intendimento, ferma la facoltà di discorrere, ed i suoi sintomi inequivocabili producono indifferenza e pena nell'auditorio non appena li percepisce. La via di mezzo è raccomandabile in questa parte; ma se deve toccare in alcuno degli estremi, è preferibile essere osato in vece d’essere meticoloso.
    Un altro degli oggetti che non deve perdere mai di vista l'oratore è dare varietà al suo discorso affinché non risulti totalmente con la stessa intonazione e con uguali tratti caratteristici. Come nella pittura, il chiaroscuro produce il merito del rilievo.
Mediti questa frase di San Agostino: “Le parole dipendono dall'oratore e non l'oratore delle parole”.
Si concluderà notando un'altra volta che il decoro e la circospezione devono presiedere ogni discorso e l'oratore deve cercare con gran attenzione di non confondere mai la linea dello zelo con quella dell'offesa. Il linguaggio può essere dosato e circospetto, senza che per quel motivo smetta di essere energico.

 

Insegnamento 7: Riflessioni sull'Applicazione delle Regole Enunciate

Uno scrittore contemporaneo ha detto: “Non è oratore né quello che dispone, mette in ordine e classifica bene le idee, né quello che li produce coll’armonia ed attrattivo dell'eloquenza lusingando allo stesso tempo all'udito ed all'immaginazione, bensì l’uomo che possiede questi due talenti e li sa riunire ed esercitare”. Ed aggiunga a questo che l'eloquenza può essere buona o cattiva, una virtù o un vizio, un angelo o un demonio secondo l'oggetto proposto ed i mezzi usati.
All'eloquenza severa di Solone si oppone la furba ed astuta di Pisistrato; ed alle arringhe immortali di Demostene presenta per contrasto le sofistiche ed imbrogliate di Eschines. Quello che deve portare, necessariamente, a riflettere che l'oratore e l'eloquenza sono strumenti, mezzi che devono servire decorosamente a fini superiori; in modo che le meditazioni, in ultima analisi, devono andare direttamente al contenuto del discorso ed al suo senso, e dopo alla sua forma. Curare questa trascurando quella significherebbe che si sta lavorando più per amore proprio che per amore a Dio.
L'oratore prima di cominciare a parlare deve ridurre nella sua mente, in una formula chiara e determinata, tre cose molto diverse, a sapere: che cosa è quello che dice, dove o in quale parte del discorso deve dirlo, e come deve dirlo. Quando si tratta di un'improvvisazione, l'operazione intellettuale su questi tre punti deve essere istantanea.
Ricordi che la lettura, tanto raccomandabile, senza la meditazione approfitta pochissimo, e la memoria è un orologio che si ferma se non è caricato. Gorgia ha detto per combattere la funesta fiducia di alcuni esseri nel suo “deposito subcosciente”: “La memoria è una domestica a chi si deve ricordare continuamente i suoi doveri affinché non li dimentichi”.
Su l'oratore che garantisce alla sua memoria il discorso che vuole pronunziare con tutte le apparenze di una produzione subitanea e spontanea, dice Timon nel suo “Libro degli Oratori”: “Che non sente il dio interno, il dio della Pitonessa (o Pizia) che agita ed opprime; che è l'uomo della vigilia e non l'uomo del momento; l'uomo dell'arte e non quello della natura; che, in una parola, è un comico che non vuole sembrarlo essendo egli stesso il suo proprio suggeritore e che cerca di ingannarli a tutti e fino a sbagliarsi a sé stesso”.
Anche è vantaggioso formare estratti di quanto si legge perché questo proporziona un gran risparmio di tempo ed abilita all'abitudine della sintesi.



Insegnamento 8: Diversi Tipi di Eloquenza

Eloquenza popolare: È quella che, avendo per tribuna lo spazio e per auditorio il popolo, permette voli più audaci e meno controllati, immagini più audaci ed emozioni più vive e profonde che gli altri tipi di eloquenza.
Lì si attendi sempre meno all’ornato del linguaggio che al nervo ed energia di quello che si dice.
Il popolo vuole sentire cose grandi e che gli siano annunciate con appassionata voce, con gesti espressivi e con tutti i sintomi di convinzione e di entusiasmo che sia capace l'oratore. Lì l'oratore agita o calma alle masse col soffio del suo verbo.
Eloquenza militare: È una di quelle che più grande influenza ha avuto nei destini dei popoli.
Ubriacare agli uomini affinché corrano ciecamente dietro l'immagine dorata della gloria; esaltare il suo spirito fino a riuscire che vadano alla morte colla stessa gioia con che andrebbero ad un banchetto, ed entusiasmarli fino al punto di dimenticare ai suoi genitori, figli e mogli per pensare solo ad un idolo che hanno sott’occhi, la patria e la bandiera che la simbolizza, è la prova del potere della parola in questo tipo di eloquenza.
Le vittorie di Napoleone si dovettero in molto a quella parola di fuoco che usciva dalla sua bocca di capo per penetrare nelle file e trasmettere al soldato tutto l'entusiasmo, tutta l'arroganza e tutta la magnanimità di un capo. Sono notevoli le sue arringhe ed illustrano molto particolarmente al riguardo.
Eloquenza accademica: Qui tutto deve essere dosato e calcolato e solo si chiedono delicatezza nella dizione, finezza e sottigliezza nei concetti, e figure brillanti d’accordo con la bellezza e non con l’elevazione e la magnificenza; un compasso, una cadenza alla quale l'anima non si stringe con facilità in mezzo ad altri trasporti. Somiglia questa eloquenza alla passeggiata che si dà per ameni giardini. Timone fece un'esatta pittura di lei: “Ha una fisionomia interamente a parte. Si guarda e riguarda come una civetta dei piedi alla testa. Accarezza la vanità degli altra affinché questi, a sua volta, adulino la sua. Molte idee non gli piacciono. Si muove mollemente fra frasi studiate, delicatezze impalpabili e sottili allusioni. Si corona con pallide rose nate dal carbone di terra nelle temperate serre dell'Istituto”.
Eloquenza sacra: Si riferirà solo con le altre, perché supporrebbe in sé stessa un minuzioso studio che scappa alla dimensione da questa parte del corso.
I suoi vantaggi sull'oratore profano sono quelli di potere scegliere il suo oggetto, meditarlo, disporlo, formularlo, ordinarlo ponderatamente ed accuratamente nell'archivio della sua memoria, mentre l'oratore profano riceve l'oggetto che gli è presentato e come gli sia presentato, e deve parlare di lui, i più delle volte, con poca a nessuna preparazione.
Il predicatore si dirige a genti pie e devote nei cui cuori non è opposizione, né sospetti, né sfiducia; il profano parla tra avversari tenaci ed a volte davanti ad un pubblico ribelle. Nella bocca del predicatore si sentono quasi sempre parole di dolcezza, amore e fraternità, mentre l'oratore profano lancia raggi accesi ed evoca passioni ed odi. L'uno solo cerca di fare fratelli, l'altro di ridurre nemici.
Ma, in quanto ad oratoria, l'oratore profano ha sempre della sua parte altri vantaggi che compensano quella disuguaglianza. Il predicatore è l'uomo del giorno precedente, dei giorni anteriori; l'oratore è l'uomo del momento attuale.
Tuttavia è quadro solenne quello di quella cattedra in cui risuona la divina parola. Avvocato della sua religione, interprete di Dio, annunciatore della dottrina o del dogma, padre dei suoi fedeli che come tale li dirige con la sua sacra severità e li incoraggia con la sua angelica dolcezza, è guida del peccatore che cade nell'abisso e come tale l'afferra ed allontana da lui col suo braccio poderoso, porta la sua consolazione e la sua speranza nella parola e la sua coraggiosa lotta, benché non tanto apparente quanto quella del tribuno forense o parlamentare ed il patriota; non è libero degli attacchi e risonanti vittorie di quelli. Ma sono frutto di solitudine e di silenzio.
Meno temporale per la sua missione e natura, lavora nonostante in temporalità ed ignorando l'effimero trionfo davanti agli uomini, deve conoscere necessariamente, per fede, di un'ultima vittoria vicino a Dio.

 

 

Insegnamento 9: L'Improvvisazione

 

Che cosa è la conversazione? Un'improvvisazione breve che cambia ad ogni istante di materia ed oggetto, che deflora e non approfondisce. In lei ogni preparazione è impossibile perché la conversazione cambia permanentemente la sua fisionomia. Non possono, dunque, prevenirsi le repliche, pensarsi in anticipo le risposte, né calcolare il giro che porterà la discussione. Tutto nasce nel momento e le idee e le parole si concepiscono, formulano ed annunciano con la maggiore prontezza.
Che cosa manca a quella conversazione per essere un discorso? Estensione e sicurezza. Cioè, avere idee per alimentarla durante più tempo e parole che vengono in aiuto da queste idee. Il discorso continuo non è più che la perfezione e prolungamento del discorso tagliato del dialogo.
Che cosa è improvvisare? È leggere con facilità e prontezza nelle idee e tradurle in parole. Che cosa si fa quando si iscrive? Ricordare e combinare. Acquisisca, dunque, l'abitudine, per l'uso della parola, di fare istantaneamente questi ricordi e queste combinazioni e si sarà improvvisatore.
L'improvvisazione non è più che la produzione spontanea e repentina di quello che già si sa, di quello che prima ha imparato e ponderato. Molte volte, come nell'improvvisazione dei sonni, nel discorso l'anima sale a regioni che ignorava coscientemente e ritorna con acquisizioni di una meditazione cosciente.
La conversazione, come le Orazioni, ha due oggetti: uno è ideale (i pensieri), ed un altro materiale (le parole). Il primo si ottiene e perfeziona per mezzo di uno studio assiduo e vario; il secondo facendosi più di una portata di espressioni scelte e più a proposito per la sua proprietà, sonorità ed eleganza per rappresentare l'idea con tutta la bellezza e tutte le relazioni possibile di unione.
Metodo. Tutto il meccanismo si riduce a due precetti: metodo analitico per imparare; metodo sintetico per eseguire.
Analitico. Un discorso non è più che l'insieme di varie parti o paragrafi, ognuno di questi si divide in periodi, ogni periodo si comporsi di frasi, ed ogni frase è l'aggregato delle parole che la costituiscono e che sono il suo elemento cardinale. Analizzato totalmente così, la stessa analisi che servì di mezzo e guida deve servire nel resto dal procedimento. Parole, frasi e periodi formeranno la scala dell'esame e degli esercizi.
L'idea è la parola pensata, e la parola è l'idea espressa. Si tratterà, dunque, delle voci, come segno rappresentativo dell'idea e dei pensieri.
Si deve cominciare con un considerabile numero di parole scelte che si procurerà conservare con attenzione negli archivi della memoria. Ma non basta saperli; preciso è che se li interroghi a fondo e che si penetri nella sua proprietà per rappresentare con esattezza il pensiero a che devono servire.
Uso dei sinonimi. Per aumentare la portata di parole –ricchezza dell'improvvisatore– conviene occuparsi dell'esame dei sinonimi. Non poche volte sostituiscono in un momento fatale alla parola che l’oratore aveva perso.
Classificazione delle parole: L'improvvisatore deve anche classificare le parole. Separare quelle che servono per esprimere pensieri grandi ed audaci, dalle quali annunciano idee soavi e dolci; quelle che ritraggono l'allegria, da quelle che dipingono il dolore.
Senso proprio e figurato delle parole. È necessario conoscere entrambi e l'improvvisatore deve esercitarsi in continui esercizi. La mattina è una parte del giorno; trasporti questa voce alle età dell'uomo e si chiamerà mattina della vita agli anni felici dell'infanzia in cui tutto sorride. Quando si dice “Il'uomo di bene gode sempre di qualche consolazione in mezzo all'avversità”, non si fa più che esprimere un pensiero nella maniera più semplice. Ma quando si dice “Al giusto esce la luce in mezzo all'oscurità”, si esprime lo stesso pensiero in stile figurato: si introdursi una circostanza, si mette la luce della consolazione, e si usa l'oscurità per presentare l'idea dell'avversità. Di queste figure di parole che si sono chiamate “tropi” e che consistono in usare parole per significare alcuna cosa differente del suo originale e primitivo significato, si disse che alterando le parole doveva sparire la figura. “Al giusto esce la luce in mezzo all'oscurità”, il tropo consiste in non essere comprese letteralmente “luce ed oscurità” bensì sostituite per “consolazione” e “avversità”, a causa di alcuna somiglianza o analogia che si suppone hanno con queste condizioni della vita. L’improvvisatore deve esercitarsi in questa relazione nascosta.
È anche necessario praticare con le metafore e comparazioni. Metafora: quando si dice di un ministro che sostiene uno Stato, come una colonna sostiene il peso di tutto un edificio, si fa una comparazione. Ma quando dello stesso ministro si dice che è “la colonna dello Stato” si fa una metafora.
Un buon esercizio è quello di prendere un libro, leggere un paragrafo e cercare dopo di continuare a trasportare il significato delle parole che lo permettano e formando le metafore altri tropi e comparazioni che possano servire ad abbellirlo.
Formazione di periodi. L'oggetto di questa parte del corso è quello di abituare allo studente a tutti i giri e movimenti oratori; deve, pertanto, passare rivista in essi a tutte le figure di pensiero. La scala come in uno strumento musicale dovrà percorrere tutte le intonazioni.
Cominci per formulare un periodo su un raziocinio chiunque nella forma espositiva, e passi dopo all'interrogazione che già si disse aumenta la forza ed energia della locuzione. Ritorni dopo il periodo alla sua forma primitiva e ripeta queste trasformazioni fino ad acquisire l'abitudine di che il pensiero formuli chiunque di queste due vie di enunciazione prontamente ed improvvisamente. Uguali esercizi devono farsi e ripetersi su tutte le forme della retorica esposte precedentemente.
Sintetico. L'improvvisatore, quando occupa la tribuna, deve abbracciare di una sola guardata tutto il discorso che pronunzia. Non nei suoi particolari perché sarebbe impossibile, bensì nel suo scheletro, nell'ordine rigoroso.
Per acquisire questo “colpo d’occhio” è necessario formare innanzitutto il discorso logico, e possedendo questo, nient'altro facile che formulare nelle prove il vero discorso oratorio con l'aiuto dei mezzi ottenuti.
Detto discorso logico dovrà consistere nel tracciato sulla carta delle proposte cardinali che si vuole enunciare, allacciarle e rimanere permeato di esse.

 

Insegnamento 10: Sintesi Critica dello Stile

 

È qualità essenziale di ogni bellezza essere semplice nei suoi paramenti; “simplex munditus.”
Una delle prime e più ovvie distinzioni dello stile è quello che deriva dalla maggiore o minore estensione che l'autore dà ai suoi pensieri. Questa distinzione forma lo stile diffuso e lo stile conciso.
Lo stile conciso comprime i suoi pensieri nelle meno parole che può; cerca usare solo le più espressive e mozza come ridondante ogni espressione che non aggiunge alcuna cosa essenziale al senso. Non rifiuta gli adorni purché possano fare più vivo ed animato lo stile, ma si avvale per ciò di quelle figure che piuttosto gli danno forza che grazia. Non presenta mai due volte una stessa idea. Nella coordinazione delle sentenze guarda più alla brevità ed al nervo della dizione che alla cadenza ed armonia del periodo.
Lo stile diffuso svolge completamente i suoi pensieri; li colloca su differenti aspetti e dà all'uditore tutti gli aiuti possibili affinché li capisca bene. Gli oratori di questo stile sono generalmente appassionati alla magnificenza ed amplificazione.
Lo stile nervoso e lo stile debole normalmente si confondono col conciso e diffuso, coi quali coincidono a volte. Ma non succede sempre questo.
La causa della debolezza o di nervo dello stile sta nella maniera di pensare del suo autore. Se l’autore concepisce fortemente un oggetto, l'esprimerà con energia; ma se ha di lui una percezione confusa, se vacilla nelle sue idee, se per la sua passione o la sua precipitazione non arriva a comprendere bene tutto quello che deve comunicare agli altri, è necessario che lo stile si deteriori visibilmente con questi errori. Si troveranno parole insignificanti ed epiteti vaghi. Le sue espressioni saranno generali, la sua coordinazione confusa e vaga.
Si concepirà qualcosa di quello che si vuole dire; ma non se lo capirà interamente. In vece uno scrittore nervoso che usi già uno stile conciso o diffuso, può imprimere ai suoi pensieri la forza e l'energia del suo stile.
La durezza di stile proviene dalle parole insolite, dagli investimenti forzati nella struttura delle sentenze e dalla troppa disattenzione della mollezza e facilità della costruzione.
In quanto all'ornato si dirà che può essere: arido, piano, pulito, elegante e fiorito.
È arido quello che esclude ogni ornato di qualunque classe che sia, accontentandosi l'espositore con che lo capiscano, ed è forzosamente di tipo didattico.
È piano quello che si alza un grado sull'arido. Oltre alla chiarezza cerca la proprietà, la purezza e la precisione del linguaggio, e questo è già una bellezza, e non spregevole.
Nello stile pulito si entra già alla regione degli adorni, ma non dei più splendidi. Questo oratore non disprezza la bellezza della lingua, ma mostra attenzione nell'elezione delle parole e nella sua attrattiva disposizione e non negli sforzi dell'immaginazione o dell'eloquenza. Le sue sentenze sono sempre pulite ed esenti del carico di parole superflue. La sua cadenza è variata, ma non di una studiata armonia.
Lo stilo elegante dice un grado più di ornato che lo stilo pulito e si dà questo nome allo stile che senza eccesso né difetto possiede tutte le virtù dell'ornato stesso. Chiarezza, proprietà, purezza nell'elezione delle parole, attenzione e destrezza nella sua coordinazione armoniosa e felice sono le sue qualità. Lusinga alla fantasia e l'udito, al passo che istruisce.
 Fiorito è il ricco ed elegante in eccesso per il tema, quando è molto continuo ed abbaglia col suo similoro. E questo è, quasi sempre, uno stile viziato e vizioso.

 

Insegnamento 11: Igiene Verbale

Oltre alle raccomandazioni del Metodo e quelli tanto brevi e preziose di “Riserva”, si ricapitolerà su elementi, motivi e tipi di igiene della parola.
Ampiezza del vocabolario. Metodo: Cercare sinonimi ed antonimi di ogni parola, al fine di notare le diverse sfumature ed accezioni nelle quali può essere usato qualunque sostantivo o qualificativo.
Data una parola chiunque, cercare le idee suscettibili di essere associate. Per ciò si hanno bisogno di due opere di consultazione: un dizionario comune ed un altro dizionario di idee affine suggerite per la parola. È anche raccomandabile frequentare un dizionario etimologico.
Per riuscire anche una certa elasticità nel linguaggio è conveniente non solo inquisire il nome espressivo di ogni obietto che si percepisca, ma anche i diversi qualificativi relativi ai distinti stati e manifestazioni di tali oggetti.
L'auto-analisi è molto importante rispetto all'impiego esatto delle parole. Si dovrà prestare speciale attenzione alle parole e le frasi che motivarono un equivoco che permisero interpretazioni erronee, che non sono d’accordo col pensiero o che sembrarono causare irritazione. Nel primo caso manca esattezza e nel secondo, misura.
Esercizi di redazione: Assimilare posatamente il testo di un racconto o capitolo di romanzo, senza ricordare le sue parole. Dopo, chiuso il libro, riprodurlo con quello che la memoria abbia registrato. Comparare dopo entrambi i lavori e studiare distintamente ognuno dei vocaboli.
Con l'aiuto di un testo visibile ricostruire il racconto mediante parole completamente distinte alle impiegate per l'autore.
Trascrivere un dialogo di un'opera teatrale, preferibilmente classica o contemporanea, alterando tutte le parole, ma conservando ogni personaggio il suo carattere che si sarà stabilito in anticipo.
Redigere una lista di cento parole, formando frasi dove raffigurino queste; quindi associare le parole per la sua configurazione, senso figurato e logico, rispettivamente. Leggere un racconto e dopo fare la più stretta sintesi dello stesso (lavoro di schedario).
Dizione: È necessario migliorare continuamente la dizione. Per arrivare al controllo riflessivo di quanto si dice, cominciare soprattutto sottomettendo alla volontà tutte le espressioni verbali.
È anche necessario vigilare e tentare di reprimere ogni tendenza a pronunziare parole automatiche, cioè, quelle a che si è propenso a manifestare spontaneamente quando uno si permetti essere dominato per gli impulsi.
Si ometteranno allora le esclamazioni, l'uso di piccole formule che siano di moda e che si è inclinato a ripetere senza motivo, e si deve raffrenare ogni afflusso verbale che sia la conseguenza di uno scuotimento dell'immaginazione o di un'emozione.
Sarà necessario ugualmente non lasciarsi strisciare mai a parlare, e procedere con molta cura non dicendo più di quello ch’è necessario. Se si tratta di una persona molto volubile non lasciarsi portare, per l'estrema rapidità della sua conversazione, a precipitare la propria; con chiunque sia si prenderà il tempo necessario per parlare con calma e tranquillità, senza alzare mai la voce né reagire impulsivamente alle parole eccessive che un altro essere diriga.
Si ometteranno anche le voci regionalistiche, l’accento e barbarismi. Tutto ciò è una questione di attenzione e di volontà in onore della correzione espressiva idiomatica. La riflessiva e volenterosa astensione di parlare con accento regionale ed in vincere generalmente i vizi di pronunzia, animati per abitudini particolari contratte nell'infanzia o per una conformazione buco-palatale particolare, conducono in poco tempo a questa perfetta dizione.
Si faciliterà anche notevolmente questo autocontrollo, evitando tutto quello che possa disordinare gli automatismi: gli alimenti di trepidazione, un regime di carne in eccesso, alcool, zucchero o sale in eccesso, la vicinanza di persone agitate ed iraconde, le discussioni inutili, gli eccitanti (caffè) tè, tabacco. Specialmente è raccomandabile non pronunziare frase alcuna che arrivi da sola alle labbra senza l’avere controllato. Ugualmente, prima di parlare è buono sforzarsi pensando l'effetto probabile delle parole.

 

 

Insegnamento 12: La Voce

L'organo della voce si assomiglia, apparentemente, a quelli della vista e dell’udito, ma differisce di essi in un punto essenziale: le operazioni della vista e dell'udito sono risultato di un atto involontario. Se si aprono gli occhi e c'è luce, si vedrà benché uno non voglia; se non si chiudono gli uditi e c'è rumore, uno sentirà. L'organo della voce, al contrario, si esercita solo mediante azione della volontà; non si parla bensì quando si vuole parlare.
Inoltre, non se può vedere né sentire più o meno in misura del desiderio, bensì quando uno si sottrae in parte all'azione degli oggetti esterni mettendo un ostacolo, un velo, tra uno ed il mondo di fuori. Non così con la voce; si può parlare più o meno alto, più o meno in fretta; si regola la funzione della voce come funzione propria. Pertanto si inferisce che si può imparare a parlare, per essere ciò suscettibile di modificarsi, grazie alla volontà, ad un controllo riflessivo e costante e di una provvista di energia vocale quotidiana.
Come la tastiera del piano si comporsi di vari ottavi, divise in tre classi di note (basse, mezze ed alte), suono che dipende del volume degli archi, la voce ha la sua tastiera; due ottavi, come il piano sei; tre specie di note ed archi più magri e più grossi, dello stesso modo che il piano, ed alla maniera che non si arriva a suonare detto strumento senza studiarlo, neanche si può arrivare a maneggiare bene la voce senza il corrispondente apprentisaggio.
Se è molto acuta, troppo grave, gutturale o nasale, la voce non ha chiarezza; è di emissione faticosa per chi la possiede e spiacevole per gli altri.
È necessario, dunque, parlare con una tonalità mezza.
Per ciò possono vocalizzarsi i Nomi Mistici Solari registrati nel Corso di “Cerimoniale di Cafh”.
Igiene della voce: Per conservare la voce in buon stato di salute è raccomandabile osservare un'igiene orale e generale severa, affinché gli organi fonatori svolgano la sua funzione specifica libera di fattori foranei. Fosse nasali, faringe nasale, bronchi, polmoni, trachea, laringe, sistema di risonanza, tonsilla linguale, tonsille palatine, eccetera, si devono mantenere sistematicamente sane. Tutto questo come complemento importante alla fondamentale riserva di energia vocale.
Interessa riassumere alcuni consigli rispetto alla voce. In primo luogo è necessario proibirsi assolutamente di cantare o parlare con catarro, con un raffreddore e soprattutto con raucedine perché questa ultima esige il riposo vocale assoluto. Quante volte la voce, non solo dei professionisti di lei, bensì quella di quelli che non hanno praticato la misura indispensabile nelle sue espressioni vocali, dopo di una raucedine acuta nel cui decorso non conservarono un riposo vocale di breve durata e continuarono abusando della parola, rimasero indisposti per molto tempo ed in certe occasioni la voce non ritornò più.
Allora a questo tesoro è necessario conservarlo avidamente e spenderlo con parsimonia.
Desensibilizzazione contro il freddo: Uno dei nemici della voce è il freddo. Molti oratori e cantanti vivono in perpetua paura di raffreddarsi, di trovarsi in una corrente di aria, che si raffreddino i suoi piedi, eccetera.
L'esperienza medica espressa che si può arrivare ad essere refrattario ai catarri e raffreddamenti. Quell'accertamento si conferma tra chi vivono all'aperto, dormono con la finestra aperta nella montagna tanto in inverno come in estate, portano pochi vestiti e realizzano esercizi naturali.
È consigliabile, in base a tali fatti, desensibilizzarsi del freddo mediante alcuni metodi o sistemi che varieranno d’accordo alla natura di ognuno. Questo partendo dell'ipotesi di un buon stato delle vie aeree (fosse nasali), seni facciali e frontali, tonsille e denti, senza nessun foco settico nasale, amigdaloideo o dentale. La ginnastica respiratoria, il bagno, la doccia fresca dopo della cultura fisica e respiratoria, (il bagno caldo è un errore; lo torna ad uno freddoloso; sensibilizza per il freddo e predispone ai catarri) sono buoni desensibilizzanti.
Questa desensibilizzazione è raccomandabile che cominci dall'infanzia, poiché ad un'età più avanzata risulterà proporzionalmente più difficile contrarre nuove abitudini. Nell'adolescenza e l'età matura bisogna allenarsi progressivamente per l'acqua fredda e procedere con prudenza. Si comincerà in estate, gradualmente. La frizione prolungata (come si consiglia nel corso di Ginnastica, è raccomandabile, come la pratica di alcuni sport e la vita la maggior parte del tempo possibile all'aperto.
In tutto è raccomandabile il metodo di vita e, per quanto possibile, l'imitazione di quelli metodi che i Figli nella Comunità osservano.
Il tabacco, i liquori e tutto eccitante sono dannosi per la voce, ma il più nocivo –per essi e per quelli che debbano vivere nell'atmosfera piena di fumo– è il tabacco.
Ricordi che un buon sonno è immagine della buona salute e non ci fu buon sonno nella notte quando, alzandosi, la voce è leggermente velata, importuna, come sporca.
Il riscaldamento è dannoso perché asciuga le mucose delle vie aeree ed in questo modo li torna vulnerabile e è un vero disastro per le mucose con tendenza allergica. È consigliabile mettere nei radiatori recipienti con acqua per inumidire l'ambiente. I fiori ed i profumi sono anche pericolosi per la voce.
La fisiologia e la patologia rivelano d'altra parte che c'è una relazione franca tra la voce e gli organi sessuali, quello che si è lasciato espresso nel corso di sviluppo spirituale in forma indicata.
Cause di fatica vocale: La tecnica respiratoria difettosa è la causa di certe alterazioni della voce. È necessario imparare a respirare correttamente. La respirazione alta, clavicolare, produce soffocazioni, congestione della testa ed infiammazione della faringe. La respirazione addominale, mantenendo le costole immobili ed esagerando i movimenti del diaframma, comprime gli organi dell'addome, contrae la muscolatura del ventre e degli organi vocali, riduce l'azione dell'apparato vocale e porta all'individuo a chiudere l'emissione della voce. La respirazione buona, normale e fisiologica deve essere totale e realizzarsi soprattutto con l'allargamento delle costole inferiori. Deve essere soave, ampia, lenta, profonda e silenziosa.
L'integrità dell'apparato vibratorio, cioè, della laringe e delle corde vocali, è ancora più necessaria per l'emissione vocale. Studiando il meccanismo si vede che c’è un'azione molto delicata di muscoli, articolazioni e legamenti della laringe il cui oggetto è produrre il suono fondamentale. Se c'è una lesione, quello meccanismo delicato si altererà ed avrà affezioni della voce.
L’uso vocale indebito è la tecnica difettosa che consiste in non utilizzare bene lo strumento.
Esempio: Un conferenziere che parla con un tono troppo basso, cosa che l'obbliga a gonfiare la voce, o che si avvale di una voce gutturale e che non ha portata ed allora ricorre alla forza mirando a farsi sentire. Il risultato è sempre lo stesso: fatica della voce e congestione della laringe. Perché succede questo? Perché si violano le leggi della natura eseguendo un atto contrario alla fisiologia vocale, al buonsenso, e non seppe guardarsi dentro i limiti dai mezzi naturali vocali.
In sintesi: conviene sapere che ogni oratore, professore o cantante che si affatica è un individuo che parla male o che canta male. Quella fatica vocale costituisce il segno precursore della perdita della voce e è il segno di allarme dell'organismo che è necessario ascoltare per fermarla in tempo.

 

Insegnamento 13: La Lettura

La lettura, come pratica per applicarla all'oratoria ed anche per sé stessa, è importante.
La parte tecnica dell'arte di leggere si riferisce a due oggetti: la voce e la pronunzia, i suoni e le parole.
Le tre specie di voce –si parlò su questo nella prima parte dell'Insegnamento anteriore– si definiscono per sé stesse: bassa, mezza ed alta, e sono altrettanto indispensabili per la lettura. La più solida, flessibile e naturale è la media. Il celebre attore Molé diceva al riguardo: “Senza la voce mezza non si arriva all'immortalità”. Il primo precetto sarà dare alla voce mezza la supremazia nell'esercizio della lettura; il modo di trovarla fu esposto prima, ancora quando un certo buonsenso e spirito di osservazione acuta possono localizzarla.
Gli archi alti sono molto più fragili, più delicate. Se si abusa di esse e tocca con molta frequenza, si consumano, si stemperano, si mettono urlatrici scomponendosi. L'abuso delle note basse ed ancora dei gravi, non è meno funesto; porta alla monotonia, produce un'impressione come pallida, sorda, importuna.
La voce mezza, dunque, per essere l'ordinaria, serve per l'espressione dai sentimenti più naturali e veri, mentre delle note basse, per il suo gran potere e delle dimissioni, per la sua gran lucentezza, si devono usare con somma discrezione, eccezionalmente.
La respirazione: Respirare è vivere, e si respira scorrettamente. Tuttavia, per leggere è bene necessario respirare bene, e non si respira correttamente se non s’impara.
Così come l'arpa eolia deve essere spinta dall'aria per vibrare, così le corde vocali necessitano che l'aria dei polmoni si condensi e si trasformi nel necessario impulso che permetta di modulare le note che si trasformeranno in parole.
Aspirazione e respirazione sono, dunque, i moduli che si devono dominare. Così, dunque, per leggere un lungo tratto occorre fornire bene i polmoni dell'aria che si consumerà dopo. Il lettore inefficace non aspira abbastanza e respira troppo, questo è dissipare la sua portata senza ordine né misura. Come il prodigo, non sa versare la sua portata con lunghezza nelle grandi occasioni e risparmiarlo nelle piccole. Che cosa succede? Si vede quotidianamente: il lettore come l'oratore si vedono obbligati ad ogni istante a ricorrere alla bomba, ad effettuare aspirazioni rumorose, roche, che si chiamano singhiozzi e che se molto affaticano a quello che parla, non mortificano meno a quello che sente.
Comprovi quest’ultimo: accenda una candela, mettendosi vicino ed affronti di lei, pronunzi cantando la vocale “a” e la fiamma oscillerà leggermente; ma, se invece di un solo suono si percorre una scala, continuamente si vedrà tremare la voce. Bene, il cantante Delle Sedie eseguiva davanti ad una candela accesa una scala ascendente e discendente, senza che la luce oscillasse. Come? Perché non lasciava scappare più che l'aria strettamente necessaria per spingere il suono fuori, e l'aria impiegato nell'emissione di una nota perde così la sua condizione di vento riducendosi a voce. Il comune degli esseri dissipa l’aria costantemente.
Deve ricordarsi che tutti i movimenti dell'anima sono tesori. Devono essere risparmiati per i casi che li meritino.
Per aspirare e respirare liberamente conviene impiegarsi in sedile alto. Infossato in una poltrona non può aspirarsi dalla base dei polmoni. E conviene essere molto eretto. Infine, in quanto sia possibile, la schiena appoggiata.
Il seguente esercizio è racommendabile per continuare ad imparare a leggere: scelga qualunque verso di undici sillabe:
Oh Dio non mi muove per amarti”...
Faccia una lunga ispirazione e durante l'espirazione seguente emetta distintamente le undici sillabe del verso. Se non si sperimenta difficoltà né soffocazione, pronunziare con una sola espirazione diciotto sillabe:
“Oh Dio non mi muove per amarti il cielo che mi hai”, dopo 24, eccetera. Se fosse necessario cominci per sei solamente, ma sempre con un'enunciazione riposata, investendo quattro o cinque secondi nelle dodici sillabe.
Finalmente è molto importante ricordare che si punteggia leggendo, tanto quanto scrivendo. Questo, con l'osservazione della punteggiatura nella lettura, è facile osservarlo. Non poche volte una virgola male posizionata leggendo varia il senso di una frase o l'oscura totalmente.
Molte volte a voce alta la lettura porta a rivelazioni rispetto al testo. Si dice di una cosa che salta agli occhi, e bene si può dire che salta agli uditi. Gli occhi corrono per le pagine, salvano i paragrafi lunghi, passano come sopra braci per i passaggi pericolosi. Gli uditi, invece, lo sentono tutto, non danno salti, hanno delicatezze, suscettibilità, previsioni, che scappano alla vista. Tale parola che letta in bassa voce si sarebbe passata per alto, acquisisce all'improvviso, per l'audizione, proporzioni colossali; tale frase che appena sarebbe stato notata, ribella.

 

Insegnamento 14: Schema Storico dell'Oratoria

 

Se potrebbe inferire bene che l'eloquenza è figlia della poesia. Non c'erano ancora oratori, in quello che si capisce l'oratoria come arte di persuadere, ragionare e dibattere, quando Omero aveva cantato il suo immortale Iliade. Ma sebbene questo risulti certo, non lo è meno che entrambe le espressioni conquistarono imperi a parte.
Per segnalare l'origine dell'oratoria non è necessario salire alle prime età del mondo. In quelli tempi ebbe, è verità, un'eloquenza di un certo genere nei popoli; ma si somigliava più alla poesia che a quello che si è definito come oratoria. Il linguaggio delle prime età si suppone che era appassionato e metaforico, dovendosi ciò in parte alla scarsa portata di parole che si raccontava ed in parte anche alla tintura che il linguaggio deve prendere dallo stato primitivo degli uomini, agitati per passioni e feriti di avvenimenti strani e nuovi per essi. Ma mentre il trattamento e la comunicazione degli uomini erano poco frequenti e mentre la forza e la violenza furono i principali mezzi che si avvalevano per decidere le controversie, poco poteva conoscersi né studiarsi l'arte dell'oratoria come persuasione, esposizione e convinzione.
Per questo, nonostante essere tanto naturale nell'uomo l'arte di persuadere, non è fiorita l'oratoria con uguale forza in tutti i tempi, né ha avuto sempre gli stessi caratteri.
Così nell'epoca antica predominava l'oratoria politica sulle altre e fino all'oratoria forense prendeva questa direzione perché le cause si trovavano legate ai grandi interessi dello Stato, tentandosi di domandare ragione dal governo di una provincia, del comando di un esercito, dell'amministrazione dei fondi pubblici, eccetera, temi che oggi non costituiscono in generale materia di un processo giudiziale. Nel Medioevo emerse l'oratoria sacra, e solo nei tempi moderni appaiono chiaramente delimitati i generi oratori, predominando attualmente in tutti essi il carattere didattico.
Queste epoche si possono considerare principali nell'oratoria: Grecia, da Pericle fino alla dominazione macedone e romana; Roma, da Catone fino a dopo Augusto; Padri della Chiesa, greci e latini; Oratori cristiani moderni e Parlamentarismo, includendo la rivoluzione inglese e francese.
Grecia: Già i poeti epici –con maggiore ragione i drammatici– mettono in bocca dei suoi personaggi diversità di Orazioni e gli storiografi inventano ed attribuiscono ai suoi uomini di Stato e generali Orazioni ed arringhe che in tale o quale circostanza avevano dovuto pronunziare. E così si vede nei poemi omerici come gli eroi e capitani si esprimono molte volte in forma oratoria senza lasciare il tono poetico.
E la stessa cosa che nell'Iliade e l'Odissea succede nelle Storie di Erodoto e l'esempio è seguito durante secoli interi, perché Grecia che fu un paese diretto e governato per oratori, diede gran importanza al genere oratorio che arrivò ad acquisire grande sviluppo, soprattutto a partire dal secolo V a. C.
La storia greca presenta, emergendo al di sopra di tanto oratore notevole, a Solone che sembra fu il primo gran oratore; a Temistocle in tempo delle guerre mediche e Pericle nella generazione seguente. Il primo di eloquenza grave e severa ma veemente e virile; il secondo di abbondante e persuasiva parola, ed il terzo che diede nome alla sua epoca di “fulminante”, come dicevano gli antichi.
Lo studio letterario dei due grandi oratori dell'antichità citati in ultimo termine risulta interessante; inoltre, per vedere quello che era un oratore prima che esistesse a retorica che più tardi doveva sottomettere a regole minuziose l'esercizio di quell'arte che non ubbidiva a nessuna norma scritta in essi.
Per lo stesso tempo di Pericle si vede brillare a Cleone, Alcibiade, Otena e Teramene. L'Oratoria si costituì come un'arte ed un insegnamento a Sicilia, dopo l'espulsione dei tiranni (circa 465 a. C), secondo un'attestazione di Aristotele citato per Cicerone, e ricevé forma di mani di Corace e Tisia; il primo è il vero fondatore della retorica, ed il secondo –il suo discepolo– scrisse un trattato superiore a quello del suo maestro che era una seconda edizione riveduta e completata dell'opera prima.
Dopo questi scrittori seguono i sofisti che snaturalizzano il ruolo dell'oratoria trasformandola in strumento o mezzo di provarlo tutto, non avendo per essi valore alcuno il concetto o senso delle parole il cui importanza radica in loro stesse.
I due sofisti più importanti sono Protagora di Abdera (485-411) e Gorgia Leontino (486-380) il cui conoscenza si deve, principalmente, a Platone, che mette in bocca di Socrate notabili ragionamenti per confondere i sofisti nei suoi “Dialoghi”, facendo vedere la cosa perniciosa della sua arte, burlandosi di essi con delizioso ingegno comico. Tuttavia, è dovuto loro, in compensazione, avere portato l'ingegno greco ad un grado di estrema acutezza ed avere raffinato il linguaggio, studiando fino alla minuzia tutti gli aspetti e sensi delle parole.
Gran distanza è quella che separa a questi oratori giudiziali, difensori di cause e cause, agli oratori politici, degli oratori classici della Grecia il cui lista comincia con Antifone –oratore politico e forense– che presenta nelle sue Tetralogie le idee o temi di ogni discorso sotto quattro aspetti o categorie differenti, e che con uno studio costante al servizio di un'intelligenza scelta era riuscito che sparissero dai suoi Orazioni la pesantezza, sottigliezza e male gusto che allora imperava nel campo orale.
Acquisiscono anche fama come oratori giudiziali Andocide (440-390); il gran Ledi il cui discorso contro Eratostene –per assassinio di Polemarco, fratello maggiore dell'oratore– è un modello finito di accusa, é Iseo che, come si dice, ebbe la gloria di dirigere i primi passi di Demostene.
Al di sopra di questi oratori emerge Isocrate che fu chiamato padre dell'oratoria, benché non osasse mai abbordare le lotte della tribuna. È il suo un modello di oratoria riflessiva e più che oratore può chiamarsi maestro di oratori, poiché scrisse sempre i suoi Orazioni affinché servisse da modelli ai suoi discepoli.  Coltivò particolarmente la forma e fuggendo dagli stretti limiti dell'oratoria giudiziale e del tono enfatico dell’oratoria tribunizia, forgiò l'arma che Demostene doveva brandire con la superiorità del suo genio.
Questo fu l'oratore più grande della Grecia e forse del mondo antico, e con lui sparì l'eloquenza politica greca, sparendo la libertà da Atene.
I suoi Orazioni, composte molto riposatamente e scritte con calma, erano pronunziate con entusiasmo straordinario e dopo scritte affinché il suo effetto si estendesse. Trattava le questioni con gran altezza di mire, e questo non era ostacolo affinché entrasse in particolari insignificanti di organizzazione militare e di economia. Non seguiva un sistema fisso in quanto alla forma, trovandosi nei suoi discorsi frasi brevi, incisive e frasi lunghe, irsute di orazioni e riempi di pensieri. Nessuno l'ha superato nell'arte di insinuarsi nell’animo dell'auditorio, e nella lettura dei suoi discorsi si sono formati gli oratori più grandi di tutti i tempi. Al lato di tanto gran oratore brillarono l'ingegnoso e spirituale Hippiade e l'austero Licurgo; ed affronti di lui il suo rivale Eschines che possedeva tutte le qualità opposte a quelle di Demostene; Dinarco che seguì da lontano a questo, e Demade, di una delicata ironia.
Prima di perire completamente l'oratoria greca, perdendo il popolo le sue libertà, ebbe, secondo l'attestazione di Cicerone nel suo libro “Degli Illustri Oratori”, un sostenitore illustre nel tribuno Demetrio Falereo, (350-285 sempre a. C.), i cui discorsi non si conoscono, ed in Teofrasto, l'ultimo oratore della Grecia libera. Molto tempo dopo, nel secolo I della nostra era, cercò di rinnovare e ringiovanire le idee antiche prendendo come modello Demostene, Dione, chiamato Crisostomo o Bocca di Oro.
Roma: Benché meno bene dotati che i greci in tutto quello che si riferisce all'arte e la letteratura, le circostanze della vita politica li obbligarono a coltivare il genere oratorio.
Al principio, mentre non conobbero alla Grecia, fu l'eloquenza romana grossolana e rude e, per lo stesso. ingenua ed appassionata.
I Gracci ed il vecchio Catone non si erano formati nelle scuole dei retorici greci e, nonostante ciò, seppero commuovere e persuadere. La forma poteva essere rude, ma il fondo era eccellente e quando i maestri della Grecia aprirono scuole a Roma, gli oratori romani acquisirono immediatamente le qualità che mancavano.
Tra i generi oratori emergono il politico ed il giudiziale, avendo questo come caratteri distintivi la “urbanitas” e la “gravitas”. La storia dell'oratoria romana si divide in tre periodi, e Cicerone costituisce il centro di essi.
Nel periodo pre-ciceroniano si trova Fabio, di dolce ed elegante linguaggio e modali anche eleganti; Scipione che si distingueva per il vigore e la nobiltà del discorso; Labeone, Mettelo, Galba, Emilio Lepido, i due Lucci, Spurio, Mummio e Carbone; Tiberio Gracco, impetuoso e veemente nel dire; Lentulo, Decio, Druso, Flaminio, Curione, Rutilio, Scauro e Caio Gracco, nel quale appare una dialettica robusta e vigorosa unita al linguaggio delle passioni, in modo che i suoi Orazioni si dirigono all'intelligenza ed al cuore. E come oratori giudiziali, M. Cornelio Cetego, di stile semplice ma di gran forza persuasiva; Catone il Censore, conciso, intenzionato ed energico; Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio, nonno del triunviro che Marco Tulio secondo lo stesso furono i primi che elevarono in Roma l'eloquenza all'altezza che raggiungesse in Grecia.
Cicerone, figura gigantesca che emerge nel periodo classico della letteratura romana, non disprezzò –seguendo l'esempio di altri suoi predecessori– gli insegnamenti dei greci e viaggiò per tre anni per la Grecia e l'Asia Minore per perfezionarsi nell'arte oratoria, essendo discepolo di Molone. Dei Discorsi che si conoscono di lui sono famosi e meritano ricordarsi, tra i giuridici, la difesa di Roscio Amerino, accusato di parricidio; quella di Aulo Cluenzio, accusato di avvelenamento; quella di Milone, autore dell'assassinio di Clodio, e quella di Quinto Ligorio, pompeiano esiliato. Tra le Orazioni politiche si ricordassero sempre i tre relativi alla Legge agraria, contro Publio Servilio Rufo, chi chiedeva la ripartizione dei campi italiani; le quattro ammirabili Catilinarie in cui l'oratore si esalta fino alla furia e le 14 Filippiche contro Cornice Antonio in cui commercia di affondare a tutti i costi possibili al suo nemico. Le Orazioni Verrine in cui c'è parte di oratoria giudiziale e parte di politica, offrono gran interesse come pittura dello stato sociale di Roma; benché questi Orazioni siano in numero di cinque, sembra che solo la prima fosse pronunziata.
Cicerone, come tutti i grandi oratori dell'antichità, preparava con calma i suoi discorsi e portava con sé ad un libero suo, chiamato Tirone, a chi si considera come inventore della stenografia, che continuava a copiare i suoi discorsi man mano che Cicerone li pronunziava. Poi Cicerone li leggeva, correggeva e pubblicava.
Contemporaneo e rivale di Cicerone fu Ortensio di chi quello dice ancora in “Brutus” che la sua parola era splendida, ardente ed animata e molto più vivo e patetico ancora il suo stile, così come la sua azione, e che aveva una memoria sorprendente, gran attività nel lavoro, elevata e chiara esposizione, fluido linguaggio e voce dolce e sonora. Allo stesso periodo che costituisce l'epoca di oro dell'oratoria romana, appartengono: Calvo, di stile conciso, nervoso e puro, che imitava gravemente e fortemente quello degli oratori ateniesi, ma troppo grazioso e lavorato; Asinio Polione, più ampio ed armonioso di Calvo e che godè fama di gran improvvisatore; Cesare, di dizione maestosa e Bruto il cui caratteristica era la gravità; ma avendo tutti di comune l’aspetto virile, puro e vigoroso della sua eloquenza.
Dopo il secolo di Cicerone l'eloquenza cominciò a decadere con uno stile declamatorio ridondante ed affettato, facendosi abitudine il mandare i giovani nell'Asia, dove i professori di retorica insegnavano loro un nuovo modo di declamare, la scuola asiatica, miscuglio di sottigliezza greca e di pompa occidentale, molto seducente in apparenza ma di molto male gusto in realtà, perché niente aveva di naturale né di semplice e sì molto di diffusa e sontuosa, con pretese di abbagliare mediante colpi di ingegno, metafore ricercate e decorazioni superflue.
Solamente meritano menzione in questo periodo Domizio Afer, in tempo di Nerone, metodico e chiaro, semplice e grave ma ardente ed energico e spruzzando i suoi discorsi con tratti di grazia ed ironia che facevano che fosse ascoltato sempre con gusto. Al suo fianco figurano, benché in piano inferiore, Crispo Pasieno, Decimo Lelio e Giulio Africano. Posteriori furono Plinio il Giovane, discepolo di Quintiliano, e Tacito, lo storiografo; ma tale era il rilassamento del foro in questa epoca che Plinio si vergognava dello stile corrotto ed effeminato che si impiegava nel Tribunale dei Centumviri, e Marziale ridicolizzava nei suoi epigrammi la mania delle citazioni inutili e delle digressioni fuori di proposito.
Tra i pochi coltivatori che rimasero dell'eloquenza puramente romana, raffigurano alcuni spagnoli, come Latrone e Seneca.
L'ultimo oratore romano notabile è l'eloquente difensore del paganesimo, Quinto Aurelio Simmaco, che contese con San Ambrosio sul ristabilimento dell'altare della Vittoria nel Senato.
Padri della Chiesa, greci e latini: Devono essere considerati come precursori degli oratori sacri che con le predicazioni del cristianesimo raggiunsero un livello artistico superiore all'oratoria profana della sua stessa epoca, i libri profetici del Bibbia che per la sua fine e la sua forma sono veri Orazioni.
Per caratterizzare e definire l'oratoria dei profeti bisogna considerare che non sia possibile includerla in nessuno dei generi oratori determinatamente e specificamente perché in lei ci sono molta oratoria religiosa e molta oratoria politica. Quegli uomini, pieni di spirito di Dio, non annunciavano solo la venuta del Messia ed il cambiamento che si opererebbe, ma anche le confusioni politiche che soffrirebbe il popolo dell'Israele a chi consigliavano ed avvertivano rispetto alla sua condotta, profetizzando l'invasione straniera, la perdita della libertà e tutti i mali propri dei popoli decadenti. Dunque nel prossimo Insegnamento, trattando questo punto, la sua qualificazione è “soprannaturale” per la sua stessa natura.
Dai primi tempi della chiesa cristiana si stava formando e crescendo l'eloquenza sacra, essendo meritevoli di citazione San Giustino e Clemente di Alessandria che fecero uso del greco come mezzo di espressione. e Tertuliano, Arnobio di Licca e Lattanzio che usarono il latino. La figura più grande, anteriore al secolo IV della nostra era –che è il secolo di oro dell'eloquenza sacra– fu San Geronimo, uomo enciclopedico, gran erudito e scrittore geniale.
Nel secolo IV appaiono i grandi propagandisti degli insegnamenti di Cristo, emergendo nella Chiesa greca San Basilio che celebra il potere di Dio in parole di severa grandiosità; San Gregorio Nazianzeno il cui esortazione sull'amore dei poveri è stata molto imitata per i migliori oratori sacri; e San Giovanni Crisostomo (Bocca di oro) che innovò considerevolmente le forme classiche dell'eloquenza greca, creando una specie di linguaggio universale, capace di essere capito e desiderato per tutto il mondo.
“Gli oratori che precedono a San Giovanni Crisostomo sono gli oratori della lotta”, dice lo scrittore Navarrese y Ledesma; “San Giovanni è l'Oratore della Vittoria”.
Nella chiesa latina, oltre a San Ilario, San Ambrosio e San Gieronimo, emerge San Agostino, il vero genio dell'espressione religiosa cristiana che se come oratore soffre di alcuni difetti propri dell'epoca è, d'altra parte, uno degli ingegni di più elevazione di sentimenti e di idee che è esistito.
L'epoca di agitazione e di continua lotta in cui vissero questi celebri oratori, fece che la sua eloquenza prendesse a un carattere focoso ed appassionato, semplice e popolare a volte, elegante e filosofico altre, ed in alcuni occasioni, politico.
Nei secoli V e VI sostengono rispettivamente lo scettro dell'eloquenza cristiana San Leone e San Gregorio che è stato chiamato l'apostolo dei barbari. Ed in Spagna emergono Giusto, Severo, San Leandro e San Isidoro.
Oratori cristiani moderni: L'invasione dei barbari fece sparire l'eloquenza insieme a tutti gli altri generi letterari e belle arti, tardando molto a riapparire.
Tuttavia, nel secolo XI si trovano oratori capaci di trascinare alle moltitudini e, pertanto, eloquenti al suo modo, perché così solo si spiega che Pietro l'Eremita e gli altri predicatori delle Crociate, ottennero che migliaia di uomini corressero alla conquista del Sacro Sepolcro. San Francesco di Assisi, San Domingo de Guzmán ed il Beato Giordano della Sassonia, trascinarono alle moltitudini ed alle università coi suoi sermoni.
Il Rinascimento non resuscitò l'eloquenza classica e benché la Riforma ed i suoi nemici, senza dimenticare a Savonarola, lottassero con la parola, le sue forme oratorie abbiano poco o niente di retorica. Era necessario che arrivasse il secolo XVII affinché l'oratoria tornasse ad acquisire il lustro e splendore persi, essendo l'eloquenza sacra francese che vinse il confronto.
Nel regno di Luigi XIV fiorirono il sublime Bossuet, l'energico Bourdalone, l'ingegnoso Flechier, il dolce Fenelon, l'appassionato Massillon e molti altri; e non fu solo il caso che fece loro apparire in una stessa epoca, ma la cattedra sacra poté essere illustrata di tale modo perché quegli uomini –senza dubbio ornati di doti naturali– non facevano più che mettere in pratica le regole stabilite per Francesco di Sales, il padre delle Ligendes ed alcuni altri gesuiti, il chierico di Saint-Cyran e quelli di Port Royal, perché tutti erano concordi in quello che doveva essere un predicatore.
In Germania i più famosi predicatori della riforma furono Lutero e Melanchton, ed in Inghilterra si distinsero come oratori sacri Tillotson e Blair. In Italia, la figura del Padre Segneri è sufficiente per elevare l'oratoria sacra ad un grado di splendore che, ad eccezione della Spagna, poche nazioni riescono a superare. In Portogallo emerse il padre Antonio Vieira, una delle glorie della Compagnia di Gesù.
Benché l'eloquenza sacra emerga sugli altri generi oratori, prendono anche incremento e svegliano del suo letargo l'oratoria politica e l'oratoria medica forense, e nasce una nuova forma di oratoria: l'accademica.
L'eloquenza accademica offre pochi modelli degni di elogio, essendo uno di essi l'ammirabile risposta di Racine al discorso di accoglienza di Corneille.
Parlamentarismo. Prima Epoca: La rivoluzione inglese. Per fare una qualificazione precisa si deve sapere che c'erano allora tre scuole differenti a che corrispondevano tre diversi tipi di oratori. Un'era la scuola della corte, ingegnosa, elegante, della quale ha comunicato qualche tanto Shakespeare e della quale fece un'ingegnosa parodia Walter Scott in uno dei suoi romanzi cavallereschi; un'altra quella dell'antica filosofia, estranea o, per meglio dire, nemica delle idee dell'epoca; ed un'altra eloquenza della riforma che bolliva dappertutto, benché ancora rude ed imperfetta.
Si può dire con approssimata verità che la rivoluzione inglese non produsse più che due grandi oratori: Strafford e Cromwell. In primo luogo il grande uomo fra sue passioni, che fu immolato, e che per fare più acerba la sua sfortuna dovette passare per strazianti delusioni e vedere la debolezza e l'ingratitudine di Carlo I, sostenne il maggiore valore –in un magnifico discorso per la sua difesa, contro 13 accusatori distinti, nel corso di 17 giorni.
Cromwell era l'interprete ed il dio dell'eloquenza puritana. Puritanesimo di virtù, distacco e martirio.
Della sua eloquenza, vigorosa benché rude, fa Voltaire un magnifico elogio e conclude dicendo: “Un movimento di quella mano che aveva vinto tante battaglie e dato morte a tanti realisti, produceva più effetto che tutti i periodi di Cicerone”.
Questa eloquenza la dominò con più lucentezza e con più vantaggi per celebre Pitt e l'opulento Fox che nominato per il Parlamento all'età di 19 anni seppe emanciparsi e fece sentire varie volte la sua voce in difesa delle leggi e dei cattolici.
Seconda epoca: la rivoluzione francese. Il quadro più grande dell'eloquenza moderna le presenta la Rivoluzione Francese, avvenimento che con la riforma di Lutero ha compartito l'ammirazione del mondo. Quale era il suo carattere? Somigliava all'inglese, figlia delle sue tradizioni e dei suoi antichi ricordi? Somigliava a quella della Polonia formata tra agitazioni di un'anarchia guerriera? A quella della Grecia e Roma? No. Aveva un carattere nuovo, dovuto in gran parte alla sua origine letteraria, filosofica ed esoterica.
Questa eloquenza nuova nel suo genere era più grande, più audace, più sistematica delle altre eloquenze oratorie allora conosciute; Mirabeau, Vergniau, Barnave, Danton, Desmoulins, Robespierre e tanti altri, fecero conoscere al mondo fino a dove raggiungeva l’esperienza e la forza di quella parola, infiammata per ideali.
Anche i militari come Napoleone, i politici come Royen-Collard, Benjamin Constant, il generale Foy, Casimiro Ferier, Thiers, Guizot, Lamartine, Jocqueville, Montalembert e Gambetta e gli avvocati come Berager, Dufaure e Favre, occupano un posto elevato nella storia dell'arte oratoria francese.
In quanto all'oratoria parlamentare spagnola si sentirà che i più rappresentativi di finali del secolo XIX e principi del XX sono stati, allo stesso tempo, gli uomini della politica costruttiva della Spagna. Raffigurano, tra gli altri, Salustiano di Olózaga (1805-1873); Antonio Cánovas del Castillo (1828-1897); Cristino Martos y Balbi (1830-1893); Francisco Pi y Margall (1824-1901); Nicolás Salmerón y Alonso (1838-1908); José Canalejas Méndez (1854-1912); Juan Donoso Cortés (1809-1853); Emilio Castelar y Ripoll (1832-1899); Juan Vázquez de Mella y Fanjul (1861-1928); José Echegaray e Isaguirre (1833-1916); Segismundo Moret y Prendergast (1838-1913); Antonio Maura Montaner (1853-1925); Melquíades Álvarez González Posada (1864-1936); y Ramón Nocedal y Romea (decedè in 1907).

 

Insegnamento 15: La Predicazione nella Chiesa Cristiana. La sua Ortodossia

La predicazione (pro aperto dicere) è quella legittima dispensa della parola di Dio. Se capisci, inoltre, come la trasmissione orale di una dottrina attraverso i suoi autorizzati ministri. Il corpo della dottrina è formulato allora per mezzo di regole, precetti, principi che il suo agente religioso trasmetterà interamente e fedelmente; ed in questa fonderà, accrescerà e conserverà la rivelazione della quale la parola è vincolo nella mistica della predicazione.
In questo senso la chiesa cristiana fu quella che maggiore importanza assegnò alla predicazione e come mezzo necessario per la trasmissione della dottrina fu stabilito dallo stesso Gesù ripetutamente e come missione principale didatta agli apostoli e successori, col mandato di andare ed insegnare alle genti ed anche quando li ordina predicare il vangelo del che Egli stesso si confessa predicatore nella terra e, così come è stato inviato, invia ai suoi discepoli.
La necessità della predicazione fu una delle cose che motivò lo stabilimento dei diaconi per gli apostoli per potere dedicarsi meglio a questi. È, dunque, la predicazione la missione principale dei successori degli apostoli, non essendo lecito abbandonarla per servire altre occupazioni. In quella missione potranno avere ausiliari; ma solo ausiliari, non sostituti, salvo caso di legittimo impedimento.
Così fu capito dallo stabilimento della chiesa romana, incaricando costantemente i Padri, i canoni ed i concili ai vescovi il ministero della predicazione. San Ilario, San Geronimo e San Agostino lo conformano. A Roma fino al papa Leone, in Africa fino a San Agostino ed in oriente fino a San Crisostomo, la predicazione conservò il carattere di quella dei tempi di persecuzione, consistendo in conversazioni o esortazioni ed istruzioni familiari, senza previa preparazione, senza che i predicatori le scrivessero né i fedeli le raccogliessero. San Gregorio Nazianzeno fu uno dei primi che mise nei sermoni l'arte e le bellezze dell'eloquenza, per quello che ci furono copisti che li raccolsero.
Il papa León scrivendo a Massimo di Antiochia ed a Teodoro di Ciro, dichiara che l'autorità primitiva di predicare in detta chiesa è riservata ai vescovi. Durante i secoli seguenti continuò a considerarsi come dovere essenziale di questi.
Cesareo di Arles si stacca mirabilmente in ciò, avendo scaricato tutte le preoccupazioni temporali nei suoi diaconi per dedicarsi migliore alla preghiera, allo studio ed alla predicazione, eccitando agli altri vescovi affinché l'imitassero e quando per la sua età avanzata non poté predicare i suoi sermoni fece loro leggere per suoi presbiteri e diaconi ed anche quelli di San Ambrosio e San Agostino.
Tanta estrema importanza è assegnata in detta chiesa che da un principio proibì ai laici la predicazione. Una lettera decretale di Gregorio IX ordina all'arcivescovo di Milano sull'universale proibizione al riguardo ed impone la pena di scomunica ai che osassero realizzare questa usurpazione pubblicamente o privatamente. Come dettaglio curioso figura il fatto che eccezionalmente alcuni re, considerati come dotti, predicarono, quello che si permise essendo detti re in quello tempo ferventi cristiani ed essere unti dal Signore a causa dell'unzione che ricevevano di mani del Papa o dei suoi vescovi.
Sorge la somma importanza che ha concesso sempre la chiesa cattolica alla predicazione del fatto di avere dettato al riguardo vari concili: disposizioni del Tridentino e complementari; di Toledo; di Sens e le norme dettate per la Sacra Congregazione Concistoriale il 28 giugno di 1917.
Nella chiesa ortodossa la predicazione si dirige per regole simili a quelle della chiesa cattolica, esigendosi licenze individuali dal vescovo per predicare.
Tra i protestanti la predicazione costituisce la parte più importante del culto e finalmente la Camera bassa del Parlamento Ecclesiastico Anglicano finì per approvare il 14 febbraio di 1922 la proposta autorizzando alle donne per predicare in riunioni. Eccetto in Inghilterra, non si ha bisogno di ordini per predicare, richiedendosi nonostante una certa scienza ed essere pastore.
Tutto questo rispetto alla predicazione in generale. In quanto alla specificamente denominata “predicazione sacra”, capisci per questa definizione l'insegnamento orale delle verità rivelate e l'esortazione alla pratica della virtù, avendo per oggetto persuadere; questo è: illustrare all'intelligenza e muovere alla volontà conforme a lei.
Non è la stessa cosa oratoria sacra e predicazione sacra; quella è l'insieme di regole per predicare con eloquenza; questa riduce alla pratica queste stesse regole. Secondo San Agostino un doppio principio divino ed umano informa a questo tipo di predicazione sacra. Il divino abbraccia tre elementi: la missione, la dottrina e gli aiuti. L'umano lo costituisce il predicatore, il quale per portare a termine e convenientemente la sua commissione non può dimenticare le regole il cui insieme costituisce l'arte oratoria, dovendo conoscere ugualmente le fonti della materia predicabile. Al rispetto è illustrativa l'enciclica che Benedetto XV dirige ai patriarchi, primati, arcivescovi ed altri ordinari il 15 giugno di 1917.

 

Insegnamento 16: Oratoria Soprannaturale dei Profeti Biblici

“Il popolo di Firenze non sembra ignorante né grossolano; tuttavia fu persuaso da frate Geronimo Savonarola che parlava con Dio. E non voglio giudicare se era verità o non perché di tale uomo si deve parlare con riverenza; ma io dico bene che moltissimi lo crederono senza avere visto cosa alcuna straordinaria per credere così: perché la sua vita, la dottrina ed il tema che sviluppava erano sufficienti affinché gli fosse prestata fiducia”, dice Macchiavello nel suo “discorso”, riferendosi al profeta della morte di Lorenzo de’ Medici e del papa Innocenzo e dell'arrivo del nuovo Ciro alle terre dell'Italia. Ancora quando il pubblico del priore di San Marcos non si rendesse conto per allora se la predizione rispetto alla morte di Lorenzo il Magnifico si produrrebbe stando presente detta generazione per assisterla, l'atteggiamento adottato da frate Geronimo era ancora quello del profeta malgrado che non lo pubblicasse esplicitamente. Come bene dice il suo biografo, la figura, il gesto ed il tono erano quelli di uomo ispirato; quando parlava della punizione in prospettiva, la sua voce, il suo gesto e soprattutto l'intima convinzione della sua parola fendevano con poderoso influsso nel’animo di chi l'ascoltavano.
Si segnalerà qui particolarmente prima la presenza della “voce profetica” che la profezia in sé, materia questa ultima che scapperebbe alle dimensioni da questa parte finale del corso toccante all'oratoria soprannaturale, dopo di avere discorso sull'ordinaria.
Possibilmente interessasse ai vicini di Firenze l'accertamento storico della profezia del frate –questo solo succede un secolo più tardi– ma il messaggio, la trasformazione, la divina vibrazione di Savonarola-verbo, raggiunge la zona più intima e fondamentale in quello popolo e può delucidarsi facilmente che, in quelli momenti, per il suo carattere, ella esula dalla limitazione ordinaria e si trasforma in oratoria soprannaturale.
Gli apostoli riuniti in cenacolo parlavano tutte le lingue, dice il Nuovo Testamento. La forza delle sue preghiere vocali, emesse per quaranta giorni consecutivi avevano formato una vibrazione tanto forte che metteva loro in condizioni di comprendere la parola per il semplice movimento vibratorio. Naturalmente che i 40 giorni consecutivi di permanente discorso fluiscono dal cuore ispirato in Dio ed allora il verbo deve prendere la stessa caratteristica foática che quella di quelli profeti, tanto dell'antica come della nuova alleanza; e è particolarmente in quello “popolo di Dio”, in Israele, dove l'oratoria soprannaturale, la profetica, sorge a fiumane, essendo suoi 4 maggiori profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.
Nei tempi dell'aspettazione messianica degli israeliti, il suo popolo aveva molto presenti le parole e preannunzi di Mosè nel Deuteronomio: “Il Signore ti susciterà un profeta della tua gente e dei tuoi fratelli simile a me e tu gli sentirai”. E per caso più che a nessun altro popolo della terra potremmo chiamare quello dell'oratoria profetica per antonomasia.
Meraviglioso popolo, in realtà, dove i genitori, come Zaccaria, annunciano ai suoi figli che arderà la sua lingua nel fuoco fortunato e terribile dei grandi annunzi, come arsero quelli di Giovanni Battista! Questi esseri che trasmettono agli uomini le rivelazioni ricevute di Dio possiedono gerarchicamente l'oratoria più elevata e, ancora quando Paolo di Tarso situa in primo luogo agli apostoli, non sarebbe avventuroso supporre che la Buona Nuova era portata apostolicamente e profeticamente indissolubilmente.
In realtà e come lo capisce la Sacra Scrittura, il profeta non è solo quello che prevedi e predice le cose future, bensì chi parla per Dio o invece di Dio e come interprete di Dio: “Ho qui che ti ho messo per Dio di Faraone; ed Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta. Tu gli parlerai tutte le cose: ed egli parlerà a Faraone che lasci uscire ai figli dall'Israele della sua terra” (Esodo VII, 1-2); “Parlagli, ad Aronne, e metti le mie parole nella tua bocca: ed io sarò nella tua bocca, e nella sua, e vi insegnerò quello che dovete fare. Egli parlerà per te al popolo, e sarà la tua bocca: e tu sarai per lui come dio” (Esodo IV, 15).
Tre notevoli istituzioni si trovano nel paese dell'Israele: i re, i sacerdoti ed i profeti. Il potere reale era vincolato alla tribù di Giuda, alla famiglia di David; il sacerdozio alla tribù di Levi ed alla famiglia di Aronne. Ma il carico profetico dipendeva unicamente dall'elezione di Dio.
Così Geremia ed Ezechiele erano sacerdoti; Isaia non l'era ed era, probabilmente, dalla tribù di Giuda. C'erano profeti ricchi e nobili, come si suppone che era Isaia; c’erano poveri, come Amos che era pastore e bovaro; c’erano tra gli uomini e tra le donne chi non erano escluse di questo ministero, e c'erano così profetesse come Anna, la madre di Samuel; Debora, Olda ed altre.
In modo che per il carico o ministero profetico non si richiede nessuna disposizione naturale, né scienza, né istruzione o preparazione alcuna come si vede in Eliseo che era campagnolo o agricoltore ed in Amos che era bovaro, e la ragione è perché Dio che è la causa della profezia, se vuole può dare la disposizione conveniente.
Neanche si richiede speciale inclinazione o disposizione della volontà. Così Isaia si offre al Signore per la missione profetica; Mosè e Geremia si scusano e la ricusano, Giona fugge. Non si richiede neanche la carità e le buone abitudini, e così Balaam, benché cattivo, fosse, come sembra, vero profeta di Dio, e Caifa profetizzò come nota Giovanni. Naturalmente che la carità la perfeziona e la conoscenza l'amplia e tutte le aggiunte abbelliscono il verbo di profezia.
Segno di questa oratoria magnifica non è, come normalmente si crede, la verifica dei fatti annunciati nel tempo, bensì l'illuminazione interna dell'intendimento che fa Dio attraverso il profeta ai suoi discepoli, perché gli uomini possono rappresentare solo le cose ai suoi adepti per parole e segni esterni, ma non mediante rivelazione intima. Ed il profeta conosce quando egli è e quando il soffio di Dio è trasferito alla sua bocca.
In quanto alle credenziali concesse per Dio ai profeti come i suoi ambasciatori autentici, le stesse erano normalmente tre: la sua vita e predicazione, i suoi miracoli, le sue profezie.
Si capisce facilmente che i profeti del popolo dell'Israele non potevano essere uomini di vita corrotta e perversa che gli screditasse davanti al popolo; erano scelti tra gli uomini di vita sacra, di abitudini pure ed irreprensibili, di animo sforzato e coraggioso, di predicazione chiara, decisa e risoluta a beneficio della verità, altrui all'adulazione ed il servilismo, l'avidità ed il proprio interesse. A queste doti della vita e predicazione si aggiungevano altri segni straordinari come quelli dei miracoli che fecero Elia ed Eliseo e quello di Isaia quando curò ad Ezechia e gli disse che guarirebbe. E la terza, quello di accreditarsi a volte con le sue stesse profezie compiute, fu quasi sempre motivo di grandi dispiaceri e disgusti.
Tra i profeti dell'Antico Testamento Samuel è il gran veggente dell'Israele, David il re profeta, come lui stesso dice, espressamente nelle sue ultime parole e come basta saperlo leggendo i suoi salmi; Salomone, re sapientissimo, dotato per Dio della saggezza. I due grandi servi di Dio, Elia ed Eliseo, notabile per le sue predizioni e miracoli.
Si esclude, data la natura di questa parte del corso, ai profeti scrittori, che inviarono per iscritto i suoi oracoli e profezie, tali come i salmisti che composero salmi profetici come Mosè, David, Salomone, Asef, Eman, Etam ed i figli di Core.
I dotti della sinagoga collocano a Mosè ad altezza molto superiore a quella dei grandi profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele e si dice nel Talmud che solo egli contemplò la verità pura mentre gli altri non fecero altro che intravederla come se fosse specchiata in uno specchio appannato. Per i genitori del Talmud, nella rivelazione mosaica si capisce tutta la profezia posteriore.
È interessante anche osservare in Maimonide, nella sua teologia, la spiegazione dell'atto profetico mediante un certo processo interno.
Di un'altra natura sono già gli oracoli, per quanto non conservano una relazione, come la voce profetica, con l'oratoria soprannaturale, ancora quando determinarono vere comunità politiche, giuridiche, religiose come nella grecoromana attraverso i suoi Augures e Pizie o l'oracolo del tempio di Amon che, dentro e fuori dell'Egitto, era quello di maggiore celebrità ed al quale accorrevano veri eserciti di devoti per ascoltare la risposta della divinità.
Ma... Quale sarà la caratteristica della nuova parola, del luminoso verbo del giorno di Sakib che si annuncia; quale la forma che adotterà il verbo eterno per trasportare la buona notizia? Vada il Figlio alla profonda cella del suo silenzio, raccolga nell'assoluta intimità del suo cuore e dialoghi in quella deliziosa conversazione che non conosce il tempo né lo spazio con Quella che conosce il numero e la misura dell'Universo ed allora sentirà la voce dei nuovi Iniziati ch’insegneranno le esatte parole di povertà, di giustizia, di amore e di bellezza affinché umilmente faccia queste parole versare sui cuori afflitti che nelle tenebre del mondo aspettano la Nuova Alba.

 

INDICE

Insegnamento 1: Eloquenza ed Oratoria
Insegnamento 2: Anatomia del Discorso. Regole e Precetti Oratori
Insegnamento 3: Figure di Parole e di Pensiero
Insegnamento 4: Formazione del Discorso
Insegnamento 5: Idee, Ordine, Forme e Parole del Discorso
Insegnamento 6: Il Discorso e l'Oratore
Insegnamento 7: Riflessioni sull'Applicazione delle Regole Enunciate
Insegnamento 8: Diversi Tipi di Eloquenza
Insegnamento 9: L'Improvvisazione
Insegnamento 10: Sintesi Critica dello Stile
Insegnamento 11: Igiene Verbale
Insegnamento 12: La Voce
Insegnamento 13: La Lettura
Insegnamento 14: Schema Storico dell'Oratoria
Insegnamento 15: La Predicazione nella Chiesa Cristiana. La sua Ortodossia
Insegnamento 16: Oratoria Soprannaturale dei Profeti Biblici

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