INDICE

Insegnamento 1: Origini della Teologia
Insegnamento 2: Divisioni della Teologia
Insegnamento 3: Esistenza della Teologia
Insegnamento 4: Basi e Metodo
Insegnamento 5: Postulati
Insegnamento 6: Propriet à della Teologia
Insegnamento 7: Il Concetto Ariano della Creazione
Insegnamento 8: Evoluzione del Dogma
Insegnamento 9: Teologia dell'Esistenza
Insegnamento 10: Il Vedanta
Insegnamento 11: Teologia della Non Esistenza
Insegnamento 12: L ’Ottuplo Sentiero
Insegnamento 13: Teologia della Creazione
Insegnamento 14: Il Concetto della Trinità
Insegnamento 15: Teologia dell'Incarnazione Divina
Insegnamento 16: L'Incarnazione Divina

 

Insegnamento 1: Origini della Teologia

In generale, quando si parla di Teologia, gli uomini pensano immediatamente a chiesa e religione, e più di una volta si ascoltano commenti che, evidente frutto dell'ignoranza, circondano, quella parola e quello che ella significa, con un nimbo remoto ed oscuro come se fosse lontano dalla vita umana: come un ridotto esclusivo di un gruppo di esseri, i “teologi”, i cui attività appaiono alla vista degli uomini come una cosa un tanto incomprensibile.
Dunque si deve trattare di gettare un po' di luce su questo tema complesso, è certo, man mano che si approfondisce in lui, ma del quale praticamente tutti gli esseri al giorno di oggi partecipano.
E prima di entrare in considerazioni deve ricordarsi che teologia, vocabolo di origine greca, deriva di teologo, contrazione di due parole che significano rispettivamente “Dio” e “esporre”, “dire.”
Quando si lancia il pensiero in volo retrospettivo verso le origini dell'Umanità, si crede che in un periodo determinato della vita del nostro pianeta discenda su lui, ondata dietro ondata, una corrente di vite predestinate ad originare un'evoluzione terrestre di qualcosa che, come parte della manifestazione attiva di Dio, si chiama Monade Umana.
Dette entità lanciate ad una missione tanto straordinaria, evidentemente agivano dentro gli esatti limiti che la Legge di Dio, la Manifestazione, li aveva fissati.
Carenti di forme fisiche, terrestri, fu necessariamente il suo affanno, la sua prima necessità, compiere l'inesorabile necessità di adattarsi all'ecosistema in cui dovevano agire e vivere. Esempio grossolano di tale situazione sarebbe quello di un Figlio di Cafh che fosse ad un paese straniero, lontano. Adattamento al clima, al terreno, all'alimento, alla stanza, al linguaggio nuovo e sconosciuto, alle modalità, abitudini e pratiche degli uomini di quello nuovo ecosistema sarebbero la sua prima necessità. Sarà uno straniero in quelle terre ma manterrà vivo in sé il mandato che lo portò lì e di chi lo comandò. Nella sua mente, nel suo cuore, nella sua anima, sarà chiaro e patente la sua origine, ed al di sopra del suo sentimento di esilio brillerà con ineffabile luce di consolazione la conoscenza della sua unione indistruttibile col pensiero e colla vita di tutto quello che dovette abbandonare.
Qualcosa di simile succede allora anche con quelle primitive monadi umane. Spinte al compimento della missione che la predestinazione divina li aveva imposte, intraprendono la costruzione delle forme fisiche umane sulla terra, ma conservano intatto il ricordo della sua origine divina e si rifiutano ancora di unirsi con quelle grossolane forme che prevedono che qualche giorno offuscheranno la chiara coscienza del suo vero stato.
Ma il tempo passa, la Legge Divina gravita inesorabilmente sulla monade e continuando a perfezionare le forme fisiche si va affermando sempre di più il laccio che unisce alle entità colla sua opera. Lo spirito discende e penetra totalmente nel corpo, l'adattamento si è completato. Da quello momento la monade si trasforma in Umanità, l'Umanità che cresce e continua a perfezionare sempre di più lo strumento fisico necessario per compiere la sua missione.
Che cosa ha passato per tutto quello tempo rispetto alla sua coscienza divina se è che si può utilizzare la parola coscienza?
È indubbio che, sebbene gradualmente si fosse andato oscurando la chiara visione dello stato iniziale della monade, l'Umanità continuasse a vivere, ancora sviluppando la mente istintiva, in completa concordanza colla legge naturale divina. E facendolo, deve ammettere anche che visse in piena Unione Naturale con Dio, cosa che l’uomo perse, cominciando a sviluppare l'attuale mente razionale.
Durante tutto quello lungo periodo, l'Umanità potè usufruire della primitiva chiara visione, per dirlo benché sia con parole poco adeguate, e benché quella visione si andasse offuscando, ancora in tempi atlanti gli uomini riuscivano detta unione per mezzo della visione astrale.
Ma profondi cambiamenti dovrebbero avere luogo mediante il sorgimento della Razza Ariana.
Si è menzionato che fino a quello tempo l'Umanità visse in unione naturale con Dio. Lo sviluppo della mente razionale, e come sequela, del libero arbitrio cosciente, distruggono l'equilibrio; l'armonizzazione colla Legge Divina si interrompe, e tanto la visione –Unione– quanto la comunicazione naturale e diretta con Dio è interrotta.
L'uomo perde definitivamente la visione astrale e dipenderà interamente dai suoi sensi per conoscere e relazionarsi, ed i sensi non possono rivelare a Dio bensì incluso si intromettono come una straordinaria muraglia tra Dio e l'Umanità.
Dunque l'uomo ariano deve così pagare il tributo alla sua conquista. I suoi occhi saranno ciechi, i suoi uditi saranno sordi, e veramente questo uomo che desideri recuperare altra volta la Visione Divina dovrà spegnere ed assordare i suoi sensi per mezzo della rinunzia.
Ma come si sa bene, questo metodo della rinunzia non è comune né l'umanità attuale può considerarlo di applicazione generale. Ed anche deve ammettersi che, sebbene sia conosciuto e praticato millenni fa, è improbabile che l'Umanità l'abbia conosciuto e praticato dal momento in cui le sue difficoltà cominciarono.
D'altra parte, l'unione sostanziale naturale sussisteva, indelebilmente, indistruttibilmente dalla discesa alla terra delle monadi, e la mente ne potè ne potrà soffocare quella conoscenza interna, quello sentimento intimo.
Al contrario. Quella intima certezza interna di Dio, che ogni uomo porta in sé, costituisce un elemento di poderosa attività mentale razionale che ha portato precisamente all'uomo al progetto di una serie di domande di carattere trascendentale.
L'uomo intuisce a Dio, ma i sensi niente apportano che sia concreto in sé per rivelare a Dio.
E la mente sta sola e vaga disorientata per il campo razionale, incapace di gettare da sola luce sul gran mistero.
Per mezzo dei Grandi Iniziati Solari, Dio si rivela agli uomini. Gli Insegnamenti che ricevono, vera Rivelazione Divina, si condensano nelle Grandi Tradizioni Fondamentali. In primo luogo sono trasmesse oralmente. Altri Iniziati posteriori li raccolgono, affermano e danno finalmente forma scritta.
Così il Messaggio Divino arriva, secondo il tempo dell'apparizione della Razza Radicale, sotto la forma delle Scritture Ortodosse delle Grandi Tradizioni Fondamentali. E, vere ed uniche Rivelazioni, si trasformano in fondamento e principio di ogni intento di conoscenza divina.
Le Rivelazioni costituiscono dunque quello che, in Matematica, sono i postulati fondamentali.
Sono le verità indimostrabili per l'uomo. Sono la parola che Dio, scoprendosi nella misura fissata per Lui stesso, offre come punto di appoggio alla mente affinché l'Umanità abbia la possibilità di conoscerlo fino ai limiti tracciati per la stessa Rivelazione.
Se si ricorda ora quello che anteriormente si disse che la parola Teologo e, come derivazione, Teologia, si capisce pienamente il proposito ed l’oggetto della Teologia, la sua origine e la sua finalità.
Può affermarsi allora che l'origine della Teologia sale e parte dalle Scritture Ortodosse delle Grandi Tradizioni Fondamentali.
Che il suo proposito ed oggetto è scoprire all'uomo il Sapere Divino soggiacente nei testi rivelati e che la sua finalità è la santificare e rendere degno all'uomo.
È allora la Teologia l'unico e completo sapere che Dio, mediante l'intuizione, fa affiorare nell'uomo affinché possa svilupparlo razionalmente e riuscire la pienezza della conoscenza divina.
Il suo metodo è allora principalmente razionale, deduttivo ed induttivo, e basato essenzialmente sui testi rivelati, unico punto fisso, per essere la parola di Dio nell'agitato lago della mente. La Teologia in definitiva si sviluppa e caratterizza per il discorso ragionato, coordinato e conclusivo, e sempre alla luce infusa del Sapere Divino trasmesso mediante le Rivelazioni.
Riassumendo dunque, si vede che la Teologia è una forma e modalità caratteristica della Razza Ariana che deve usare la ragione per avere perso le possibilità che gli Atlanti e l'Umanità ancora più antica ebbero per mantenere il suo vincolo con Dio.
E come la ragione da sola è incapace di fare conoscere quello ch’è Divino, deve appoggiarsi e partire dal sentimento intuitivo di Dio, che esiste in ogni essere, e dalle Rivelazioni Divine.
In questa forma l'uomo, lo studente, può avanzare per il sentiero ed acquisire umanamente la conoscenza divina che, unita all'esperienza intima realizzata grazie all'intuizione superiore, gli permette di raggiungere un alto grado di conoscenza.
Ma la mente ha limiti. Per quel motivo, l’uomo solo riceverà le ultime verità accessibili mediante l’estasi o Divina Unione.

 

Insegnamento 2: Divisioni della Teologia

La Teologia è una scienza eminentemente razionale che cerchi di conoscere a Dio.
Due possibilità rimangono all’uomo nella realizzazione di questo intento.
La prima è discorrere su Dio e conoscerlo esclusivamente mediante l'impiego della pura ragione.
La seconda consiste in riconoscere le limitazioni della ragione ed incorporare elementi che si trovano fuori del circolo di lei prendendo a questi come basi e punto di partenza.
La chiamata Teologia Naturale rappresenta la prima posizione, mentre la Teologia Dogmatica ed i suoi rami derivati rappresentano la seconda.
Teologia Naturale è allora quella che tratta di Dio e dei suoi attributi e perfezioni alla luce dei principi della ragione, indipendentemente di un altro aiuto, cioè, quella che tenta di arrivare all'Essere Supremo per mezzo della ragione.
Il suo oggetto primordiale è Dio in quanto ad Essere Assoluto e Creatore.
Se la chiama anche Teodicea, qualificata per Aristotele come filosofia prima. Nel campo totale della Teologia costituisce la chiamata Teologia Fondamentale.
Sebbene nei suoi elementi originali non metta la fede, arriva a considerarla e dimostra eventualmente la possibilità della fede.
Teologia Dogmatica. È quella che tratta di Dio e dei suoi attributi e perfezioni alla luce delle Verità Rivelate. Si appoggia allora sui dogmi di fede, nei principi rivelati per esplorarli razionalmente ed estrarre nuove Verità che le chiese possono o non trasformare opportunamente in articoli di fede.
Costituiscono temi di studio della Teologia Dogmatica, per esempio, i seguenti: Dio in Sé Stesso, Dio Creatore, Dio Redentore, Dio Santificatore.
Della Teologia Dogmatica si sono staccati rami che per la sua importanza e vita propria meritano essere menzionati specialmente.
Teologia Morale. È quella che tratta delle applicazioni dei principi della Teologia Dogmatica ed anche della Naturale all'ordine delle azioni umane. Si riferisce dunque all'essere dell'uomo, con intelligenza e volontà libera, e suo conseguente operare.
Il problema fondamentale che espone è quello della libertà.
Tratta specialmente delle azioni ed operazioni umane; delle passioni, abitudini e virtù in generale; dei peccati e vizi; della grazia e del merito. Sviluppando questi temi, considera la legge che dirige le azioni umane, la giustizia e la carità.
Al settore eminentemente spirituale della Teologia corrispondono la Teologia Ascetica e la Teologia Mistica.
Teologia Ascetica è la parte della Teologia Dogmatica e Morale che si riferisce all'esercizio delle virtù, in altre parole, considera quello che si debba praticare, le virtù, e quello che si deve lasciare, i vizi e peccati.
Teologia Mistica è la parte della Teologia Dogmatica e Morale che si riferisce alla perfezione della vita nelle relazioni più intime che l'umana intelligenza ha con Dio, tanto nella vita attiva quanto nella contemplativa.
Come metodologia si sono formati anche due posizioni. La Teologia Scolastica e la Teologia Positiva.
Teologia Scolastica è la dogmatica che, partendo delle Verità Rivelate. realizza le sue conclusioni usando i principi e metodi la Filosofia Scolastica. O, espresso in termini più generali, si considerano gli elementi che la Rivelazione apporta dando una struttura filosofica.
Teologia Positiva è la Dogmatica che principalmente appoggia e dimostra le sue conclusioni coi principi, fatti e movimenti della Rivelazione.

 

Insegnamento 3: Esistenza della Teologia

Il pensiero umano adotta molte forme ed aspetti, ancora nel campo trascendentale. Ma ci sono forme e norme simili in tutte esse, come per esempio la questione di se la teologia è realmente una scienza necessaria ed esistente.
Per considerare questo punto si adotterà un postulato, un concetto fondamentale di uno di essi, per captare la forma di pensiero teologico.
Dica, per esempio, con Tommaso d’Aquino che il “essere necessario” include l'esistenza nel suo concetto. Di ciò deriva che evidentemente ogni essere necessario esiste.
Se si dimostra che la Teologia è necessaria, si dimostrerebbe che esiste ed è una scienza reale ed esistente.
La Teologia, come già si sa, è conoscenza di Dio; è un'abitudine conoscitiva non solo attuale bensì abituale di considerare a Dio.
Ma nella considerazione di Dio ci sono due forme o scienze che si applicano: la Teologia Naturale o Teodicea, parte della filosofia, e quella che supera e trascende la filosofia umana, che si chiama Teologia Sacra.
La Teologia Naturale o Teodicea considera unicamente a Dio mediante le forze naturali della ragione umana. Invece la Teologia Sacra lo fa con un mezzo soprannaturale, divino, mediante la Divina Rivelazione. Questa ultima, la Teologia Sacra, non considera tanto a Dio nella sua forma di manifestazione visibile bensì come Lui  Stesso si manifestò agli uomini, cioè, mediante la Rivelazione.
Ma la conoscenza mediante Rivelazione non è esclusiva della Teologia. Anche la conoscenza per abitudine di fede infusa proviene dalla Rivelazione. Ma questa fede è semplice assenso ad una verità rivelata per Dio. La Teologia suppone qualcosa più, sforzo umano, ragionamento e discorso.
Allora bisogna distinguere nel campo della Rivelazione Divina due gruppi: verità in sé stesse formalmente ed esplicitamente rivelate e verità virtualmente o implicitamente rivelate. Le prime sono oggetto della fede. Per le seconde non basta la fede da sola, il discorso naturale razionale è necessario per fare vedere che queste sono contenute in una verità formale rivelata. Per quel motivo si dice che la Teologia che necessita della ragione è una conoscenza divino-umana delle cose divine. In altre parole, è un'abitudine intellettuale che tratta sulle verità virtualmente ed implicitamente rivelate.
Può esporsi ora la domanda se esiste realmente una scienza teologica. Per ciò si chiarirà innanzitutto se è necessaria.
Tommaso d’Aquino, considerando questo problema, chiama innanzitutto l'attenzione sull'esistenza di due aspetti, di due generi di verità.
Alcune che sono obiettiva ed intrinsecamente soprannaturali e che trascendono le forze naturali dell'intelligenza (Fede).
Altre che sono intrinsecamente e formalmente naturali e per ciò proporzionate alla capacità mentale dell'uomo, e che Dio ha rivelato all'intelligenza umana, se può dire mediante grazia, per aiutarlo ed orientarlo.
Si presenta allora la doppia domanda di se è necessario che l'uomo conosca, mediante Rivelazione divina, quelle verità soprannaturali e divine che esulano dalla sua capacità intellettiva naturale; e se è necessario che sia rivelato all'uomo l'altro genere di verità che non eccedono la sua capacità intellettuale.
Analizzando la prima domanda si nota immediatamente che non esiste una necessità assoluta naturale da parte dell'uomo per conoscere mediante rivelazione soprannaturale, perché se fosse così smetterebbero di essere soprannaturali.
In conseguenza, è necessario ammettere solo una necessità ipotetica che risponderebbe e sarebbe condizionata per l'obiettivo finale che l’uomo deve riuscire, cioè, la sua perfezione e liberazione.
La Rivelazione è stata data sopranaturalmente per Dio all'uomo poiché eccedendo la sua capacità, non l'avesse aggiunto per sé stesso.
Risponde allora la rivelazione soprannaturale ad un proposito divino di fronte all'uomo, ad un dono sopranaturale che l’uomo riceve per compiere il piano divino sulla terra e che implica in ultima istanza il possesso chiaro e perfetto di Dio, il suo ritorno alla Divinità della quale è sorto.
Per ottenere quello, allora l'uomo deve concentrare tutte le sue forze ed atti verso Dio; ma ciò sarebbe impossibile se non conoscesse il fine ed il cammino che lo conduce a Dio, e proprio tanto il fine come il cammino sono intrinsecamente soprannaturali.
Si capisce allora che solo la Rivelazione soprannaturale può dirigere all'uomo verso la sua fine gloriosa ed allora deve ammettersi che se l'uomo può e deve raggiungere la sua liberazione e prosperità, proposta ipotetica, gli è assolutamente necessario avere conoscenza della verità soprannaturale che unicamente la Rivelazione può proporzionargli (necessità assoluta, onnicomprensiva).
Esistono, come già si diceva, l'altro gruppo di verità rivelate che l'uomo in realtà può riuscire di per sé mediante il suo intelletto. La sua rivelazione non può costituire allora una necessità assoluta dell'uomo.
Ma non c'è dubbio che affinché gli uomini possano compiere il piano divino ad essi prefissato è necessario che tutti gli uomini possiedano congenitamente quelle verità, con certezza e subito che la ragione è capace di discernere tra il bene ed il male.
La stessa ragione indica che ciò è praticamente impossibile perché molto pochi uomini riuscirebbero la conoscenza mediante il suo sforzo, già sia per deficienze mentali proprie, già sia per essere assorbiti in compiti puramente materiali, già sia per mancanza di incentivo o per pigrizia.
Inoltre, l’uomo tarderebbe un tempo enorme per ottenere la conoscenza. Sono conosciute le difficoltà esistenti per riuscire la conoscenza delle cose materiali che ci circondano. Quanto più difficile risulterebbe, tanto più tempo richiederebbe approfondire quelle verità che per la sua profondità ed astrazione richiedono una devozione ed abilità che pochi possiedono.
Finalmente mancherebbe completa unità nell'esposizione della verità. È abitudine mentale dell'uomo esprimere tutto mediante la sua posizione soggettiva, con la quale la possibilità dell'errore è enorme ed esisterebbe assoluta discrepanza di opinioni.
È allora una necessità morale, benché non assoluta, affinché l'uomo conosca in forma chiara e sicura dal momento in cui affiora la sua capacità razionale che Dio, unico Maestro della verità, riveli ancora all'uomo quelle verità divine che l'uomo di per sé potrebbe riuscire mediante il suo sforzo e che costituiscono principalmente le verità di ordine morale e religioso.
Il ragionamento esposto includi in forma esplicita la necessità della fede che non è Teologia, ma si vedrà che implica anche la necessità della Teologia.
Effettivamente la fede implica sempre due elementi: uno è obiettivo, quello che si crede, la verità rivelata; l'altro è soggettivo, cioè, l'assenso della mente alle espressioni della fede.
L'oggetto della fede non può essere captato per l'abitudine di fede se prima non è proposto all'intelligenza umana. In conseguenza, l'oggetto richiede due cose: una verità esplicitamente rivelata e la proposta di lei alla ragione umana.
Ma la verità esplicita porta in sé molte altre verità implicite ed esse sono giustamente l'oggetto proprio della Teologia, la quale la deriva della verità formale esplicita e fa  conoscere queste verità all'intelletto umano.
Questo lavoro non è oramai di fede, bensì Teologia, ed allora il credente che accetta per semplice fede la verità rivelata esplicita, conferma ed irrobustisce la sua fede in virtù delle ragioni che gli sono offerti per provare la credibilità dei misteri divini. Questo compito è essenzialmente teologico e costituisce il suo vero oggetto.
Inoltre, la fede propone sempre ad un ente razionale nel quale è latente il desiderio di tentare di comprendere ancora mediante la ragione i misteri più profondi. Per ciò discorre ed analizza; compara le diverse parti della rivelazione e deduce nuove verità. Il dubbio lo spinge ad approfondire quello che la fede gli propone e deve sforzarsi ancora a cercare argomenti contro di quelli chi attaccano la sua fede.
Tutto ciò, germogliando della fede, costituisce funzioni tipiche della teologia.
Dell'incontro della fede colla ragione germoglia spontaneamente la Teologia come una vera necessità umana e bene può ripetersi con Tommaso d’Aquino che la mancanza di Teologia significa o assenza di fede o di ragione.
Esiste allora nell'uomo una necessità di teologia; è fondamentalmente necessaria.
Quindi esiste uno studio ragionato della fede, un'investigazione divino-umana della Rivelazione Divina, che è precisamente la Teologia.

 

Insegnamento 4: Basi e Metodo

Essendo la Teologia un'attività essenzialmente razionale, deve avere come per eccellenza scienza che è basi di dove partire, dove appoggiarsi e metodi caratteristici in concordanza coi suoi obiettivi.
Si è visto già che, essendo in ultima istanza l'obiettivo della teologia la conoscenza della verità, o se si vuole metterlo in un'altra forma, di Dio, non rimane alla ragione umana un'altra possibilità per la sua speculazione che attaccarsi e basarsi sull’unico che Dio gli offre come manifestazione più o meno intelligibile alla sua comprensione: la Rivelazione.
Effettivamente, l’uomo riesce, mediante la Rivelazione, solo un barlume della verità ultima che tanto cerca con ansia.
Ella è l'unico punto di contatto, di aggancio, benché oscuri e generale, che può utilizzare per penetrare nel gran mistero di sé stesso e di Dio.
Le tradizioni del passato ed ancora dei nostri giorni rendono conto che Dio si rivela a volte ad alcuni anime scelte istruendo ed illuminandole con conoscenze straordinarie. Queste rivelazioni non sono, tuttavia, quelle che possono servire da base all'Umanità nel suo insieme, perché per essere date ad un essere in generale compiono specialmente obiettive questioni dell'anima individuale e sono orientate alla missione specifica che quell’essere compie nella sua vita.
La rivelazione, come base teologica, deve riunire allora certe condizioni generali che la mettono al di sopra dell'essere preso individualmente, abbracciando l'insieme dell'Umanità non solo per una generazione bensì per tutto il periodo durante il quale l'Umanità evolve di accordo ad una modalità caratteristica.
Si scopre così una delle caratteristiche fondamentali della Rivelazione, che è la sua antichità. O posto in altre parole, l'origine della Rivelazione si perde nel passato dell'Umanità.
Ma, come inoltre deve essere valida per tutto il periodo durante il quale l'Umanità evolve di accordo ad una modalità o finalità caratteristica che è la conquista e sviluppo della mente razionale nel caso che si considera, si capisce che la Rivelazione, base di ogni sviluppo razionale per riuscire la conquista della Verità Ultima, deve avere la sua origine negli albori della Razza Radice.
La Rivelazione, teologicamente parlando, è allora contenuta nelle Grandi Tradizioni Fondamentali dell'Umanità, il cui origine si perde nel passato a tale punto che sarebbe vano cercare di ubicarlo cronologicamente o determinare l'autore, il quale appartiene evidentemente ad una tappa anteriore all'attuale.
Effettivamente, essendo la Rivelazione quello che potrebbe chiamarsi praticamente la legge rettrice dello svolgimento della Razza, sarà necessariamente previa alla sua chiara nascita, e questo significa che l'essere che la stabilì appartiene ad una tappa evolutiva distinta di quella dopo sviluppata su quella legge, e dunque più oltre ogni possibilità di determinazione.
È dunque evidente che solo un Iniziato Solare ha potuto lanciare, mediante l'Idea Madre, quello che chiamiamo le Tradizioni Fondamentali che, essendo un semplice canale della parola di Dio, hanno vera origine divina. Ciò chiarisce e giustifica allo stesso tempo l'affermazione che la Rivelazione è l'unica base per cercare di penetrare nella Verità Ultima.
Finalmente, affinché la Rivelazione sia considerata tale, deve essere scritta. Questa condizione di scritta implica il concetto di affermazione. Questo significa che la Rivelazione originale, trasmessa oralmente all'inizio di generazione in generazione, fu dopo trasmessa per iscritto per altri Iniziati che, facendo questo così, confermano le Verità in lei contenute alla luce delle sue esperienze riunite, corroborate e confermate attraverso il tempo.
La Rivelazione, per essere tale, deve avere sempre una tappa orale e dopo un'altra scritta, e con questa forma passa alla posterità.
In questa forma la Rivelazione mediante la sua affermazione scritta, ininterrotta da epoche più oltre ogni possibilità di determinazione, si trasforma in Scrittura Ortodossa; per cioè, la Rivelazione si definisce come le Scritture Ortodosse delle Grandi Tradizioni Fondamentali.
Dall’anteriore, le seguenti qualità sorgono con chiarezza dalla Rivelazione:
Perpetuità: La Rivelazione è perpetua. Parlando di perpetuità, umanamente, deve prendersi quello concetto nella sua portata umana e non con relazione all'Assoluto che si concepisce come eterno.
Dilucidato in questa forma, si capisce che è umanamente perpetuo tutto quello che ha validità reale e durata per un ciclo completo dello sviluppo umano. La Verità ed Insegnamento contenuto nella Rivelazione ha validità per tutta l'esistenza della Razza Radicale perché è costituita per l'Idea Madre. È dunque umanamente perpetua.
Infallibilità: La Rivelazione è infallibile perché l'Idea Madre è una vera Legge di Predestinazione Razziale Ciclico dipendente della Gran Legge di Predestinazione Universale, la quale, benché sconosciuta ed inconoscibile per l'uomo, si intuisca che governa divinamente la manifestazione.
Unico Esponente della Dottrina: Perché la Rivelazione orienta ed indica i mezzi che l’Umanità può usare per completare la sua Legge di Possibilità nel suo ciclo razziale e dentro il circolo della sua predestinazione.
La Rivelazione, contenuta nelle Scritture Ortodosse, costituisce allora la sorgente di ogni conoscenza umana e per ciò è base e punto di partenza di ogni sforzo per penetrare e conquistare la Saggezza Divina mediante la Teologia.

 

Insegnamento 5: Postulati

I postulati fondamentali della Teologia basati sui concetti della Rivelazione e sugli quali eleva la sua magnifica struttura razionale, sono i seguenti:
La Teologia è l'Unica Verità.
La Teologia è un Sapere Divino insegnato direttamente per Dio.
La Teologia ha per oggetto scoprire all'uomo il Sapere Divino e la sua relazione con Dio.
La Teologia è l'Unica Verità perché ha in sé tutto, la totalità di ogni conoscenza, razionale ed intuitiva.
Razionale perché ogni idea e pensiero porta correttamente sempre ad una conclusione unica ed invariabile, ad una conoscenza che risponde e deriva sempre da una legge fondamentale semplice, unica e conseguentemente divina.
Intuitiva, perché solo mediante l'intuizione, illuminata per la luce infusa della Rivelazione, l'uomo può coordinare e sintetizzare tutte le sue idee in un’Idea Unica, semplice e divina.
La Teologia è un sapere Divino perché è un vero messaggio di Dio diretto all'intuizione dell'uomo mediante la Rivelazione, affinché l’uomo acquisisca razionalmente la conoscenza di Dio tale quale È, come principio attivo dell'Universo Conoscibile ma non nel suo aspetto Indifferenziato ed Inconoscibile.
Finalmente nel terzo postulato, si presenta l'obiettivo ultimo della Teologia che è scoprire non all'uomo il Sapere Divino in forma accidentale e velata, bensì sistematicamente e realmente. Mediante lo sforzo ed il lavoro che l’uomo realizza concentrando i suoi pensieri nei principi rivelati, riuscirà a santificare e rendere degna la sua vita e raggiungere eventualmente, mediante l'Estasi, la Visione Beatifica.
La Teologia è essenzialmente il cammino della conoscenza mediante sforzo ed applicazione della ragione e soccorsa per l'intuizione che, come già si menzionò, riceve l'illuminazione dalla luce infusa della Rivelazione.
In conseguenza, l'essere che percorre quello cammino, lo studente teologo, al giorno di oggi, dovrà ricorrere a tutte le fonti di conoscenza che gli sono offerti.
Ricorrerà innanzitutto allo studio dei diversi sistemi filosofici, conoscerà e praticherà le scienze di esse derivate, compresi gli aspetti fenomenici della natura e, ricorrendo a tutte le forme e mezzi mentali a sua disposizione, mediante ragionamento perfettamente esposto, ed analizzando e sintetizzando le conclusioni arrivate, continuerà a scorrere a poco a poco i veli dell'ignoranza.
Così ed accompagnando sempre l'attività mentale chiara, ordinata e costante con un metodo di vita di purezza e preghiera, riuscirà dopo che la luce infusa continui a chiarire la sua intuizione e cominci a comprendere umanamente le Verità Rivelate per Dio.
Realizza una vera fusione della sua mente razionale colla sua mente intuitiva.
Ci sono ancora esseri che trascendono questa tappa e riescono mediante l'estasi una conoscenza superiore in cui comprendono benché fosse solo potenzialmente, le Verità Divine non rivelate. Questa conoscenza si chiama Theologia in Deo Clare Visa, mentre la conoscenza acquisita mediante lo studio razionale alla difesa dell'intuizione si chiama Theologia in Via e è quello che gli uomini riescono a raggiungere in generale.
La conoscenza estatica è di pochi, dei Grandi Iniziati ed alcuni dei suoi discepoli, esseri che dopo rovesciano le sue conoscenze in quello che si chiama i Dogmi.
Il Dogma è allora una verità inferita e riuscita Clare Visa Deo, cioè estaticamente di fronte a Dio.
I Grandi Iniziati, in generale, sono quelli che stabiliscono il Dogma che dopo, mediante un discepolo è divulgato e spiegato arrivando al paese mediante il Sacerdozio.
Il Dogma si sintetizza in generale non in una frase concettuale discutibile ma, mediante la dottrina che stabilisce affermando una Verità Rivelata, apre la strada che fa possibile dedurre potenzialmente altre conoscenze e verità implicite.
In questa forma, mediante il ragionamento conclusivo corretto, continuano a sorgere gradualmente le verità e conoscenze teologiche.
Si è detto che la teologia è un'attività essenzialmente razionale dell'uomo, caratteristica dell'uomo Ariano che, di per sé, dispone solo della ragione come strumento costruttivo della conoscenza.
Ma si capisce un'altra volta che senza la Rivelazione Divina, senza la Luce Infusa con che Dio illumina la sua intuizione, sarebbe il suo sforzo vano.

 

Insegnamento 6: Proprietà della Teologia

Per conoscere una cosa, un oggetto, una disciplina, si comincia sempre da conoscere le sue qualità o proprietà.
Veda perché quali sono le proprietà della Teologia.
Queste proprietà sono essenzialmente di due aspetti: le assolute, esclusive che convengono alla teologia in sé stessa; e le relative che la completano e competono specialmente rispetto alle scienze umane in generale.
Si vedrà quali corrispondono al primo gruppo.
La Teologia è scienza rigorosa
Affinché una disciplina sia scienza è necessario che le sue conclusioni siano perfettamente concordanti e siano contenute nei suoi principi. Ma, se non si tiene evidenza dei principi, è impossibile avere evidenza delle conclusioni.
Allora, come è possibile avere evidenza delle conclusioni se i principi della Teologia si basano sulla fede nella verità rivelata che non è principio evidente?
Per salvare questo scoglio Tommaso d’Aquino apportò una sottigliezza notevole. Introdusse il concetto di scienza subalterna e di scienza subalternante.
La Teologia non è una scienza qualunque, è scienza subalterna rispetto alla scienza divina. Di questa maniera la Teologia si basa su principi di una scienza evidentemente superiore, la divina, ed in questa forma, dipendendo da ciò, non è necessario che i suoi principi siano evidenti nella sua stessa scienza, poiché lo sono in un altro principio superiore.
Teologia è allora una scienza subalterna rispetto alla Scienza Divina perché i suoi principi hanno evidenza nella Scienza di Dio.
Ma nell'uomo la Teologia si trova separata dalla sua scienza subalternante perché i suoi principi solo si possiedono mediante gli articoli di fede, della Rivelazione. Ma questo è un sostituto momentaneo della chiara visione di Dio che l’uomo può riuscire mediante la visione beatifica. Quando l'uomo la raggiunge, riuscirà l'evidenza dei principi che possiede attualmente solo mediante fede, non avendo necessità di essi perché possiedi la chiara visione.
La Teologia è allora scienza basata in divini principi di evidenza che per il momento e fino a non riuscire l'illuminazione superiore si accettano mediante fede. Per ciò la Teologia, formalmente parlando, proporziona solo evidenza della conclusione, ma non della cosa conclusa.
Conclusione teologica si chiama una conclusione inferita da un principio o verità divinamente rivelata.
La deduzione si può fare a partire da due premesse rivelate, oppure di una premessa rivelata ed un'altra conosciuta con sicurezza mediante ragione naturale certa. Se nessuna premessa fosse rivelata non può avere conclusione teologica.
Orbene, come ci sono verità rivelate esplicite ed altre implicite, si inferisce che c'è tutta una gamma di possibilità per riuscire una vera conclusione teologica, ma è sempre necessario per ciò che una premessa sia formalmente o virtualmente rivelata.
Come è di supporre, nel lungo cammino che la scienza teologica ha percorso, molte sono state le tendenze ed influenze che ha ricevuto. Così non ha mancato chi sia andato di quello rivelato a quello non rivelato. Con ciò si è preteso ed incluso riuscito deviare alla Teologia del suo vero campo, quello della Rivelazione Divina.
Per quel motivo la vera Teologia deve limitarsi e si limita a partire dallo esplicitamente rivelato per arrivare implicitamente a quello rivelato. In questa forma si mantiene e sottomette alla verità rivelata, alla scienza divina della quale è scienza subalterna.

Unità della Scienza Teologica

Un'altra proprietà della teologia è la sua unità fondamentale. Sebbene ella discorra sui temi ed aspetti più variati, è una essenzialmente dovuto al suo oggetto formale –motivo che è la rivelazione virtuale. Si è visto come la finalità propria della Teologia è la scoperta, la conclusione virtuale, implicita della verità rivelata.
La Rivelazione virtuale è essenzialmente una ed identica in tutta la Teologia perché deriva da una verità formale unica essenziale.
Di lì la sua unità indivisibile che gli impedisce di dividersi in varie altre scienze.
La premessa rivelata è sempre la causa principale di ogni conclusione teologica e quando interviene una premessa di ragione, umana, ella è sempre prima analizzata e giudicata alla luce della premessa rivelata, trasformandosi così in un sostituto, in uno strumento della premessa rivelata.
L'unità si conserva e spiega in quella forma.

La Teologia è, allo stesso tempo, speculativa e pratica

Un'altra delle proprietà della Teologia è simultaneamente pratica e speculativa.
Ma questo non sempre è concepito in tale forma.
Ci furono epoche in cui la Teologia Cattolica tese specialmente verso la pratica a tale punto che se la divise in tre parti:
Delle cose che si deve godere: Dio uno e trino.
Di quelle cose che si deve usare: tutte le cose create, i sacramenti, le virtù.
Delle persone che usano i beni creati e godranno degli eterni: angeli ed uomini.
L'orientazione è ben pratica, con l'obiettivo di riuscire il Sommo Bene che è Dio.
Ma posteriormente la Teologia Cattolica soffrì un gran rovesciamento per influenza di Tommaso d’Aquino che la ritornò sempre di più al suo primitivo campo speculativo, senza perdere neanche l'aspetto pratico.
La Teologia Cattolica ha conservato quello carattere fino al giorno di oggi in concordanza col proposito e le finalità della Teologia.
Ma è logico riconoscere che la verità puramente speculativa, inferita, irradia soprattutto la sua luce attraverso il campo dell'essere ed in quella forma penetra nella pratica coi suoi chiari concetti ed insegnamenti di amore e comprensione.

La Teologia è Saggezza Suprema

Si dice che la Teologia è saggezza Suprema o Assoluta perché è una doppia conoscenza delle cose: mediante i primi ed universali principi della ragione (ordine logico) e mediante la prima causa efficiente, esemplare e finale di tutto, che è Dio.
Questa saggezza assoluta è: Una scienza universalissima perché abbraccia tutto quello che la ragione può abbracciare.
È una scienza certissima perché dimostra le sue conclusioni mediante evidenti principi di ragione e mediante le prime e seconde cause dell'ordine ontologico, cioè, divino (metafisico).
È finalmente una scienza suprema che dimostra mediante le cause più alte, già sia nell'ordine reale quanto in quello della conoscenza.
Come saggezza e scienza suprema, allora la Teologia: giudica a tutte le altre scienze, ordina tutte secondo il suo proposito ed usa tutte le scienze inferiori nel suo vantaggio e profitto.

La Teologia è scienza dimostrativa mediante autorità

La Teologia è una scienza che deduce, mediante rigorosa dimostrazione, conclusioni delle verità esplicitamente e formalmente rivelate. Quindi la Teologia è rigorosamente dimostrativa rispetto alle sue conclusioni e come queste conclusioni si appoggiano sulle verità di fede, rivelate per Dio, si conclude che è proprio della Teologia dimostrare mediante autorità.
Ma che cosa fa il teologo di fronte ad un avversario che non ammette la verità rivelata?
Come le verità di fede sono infallibili perché sono verità divine, non può avere opposizione reale tra esse e la scienza umana.
In conseguenza spetta al teologo risolvere gli argomenti contrari, perché tutti devono essere forzosamente solubili.
Tentandolo naturalmente non può aversi sempre sicurezza che si sappia risolverli o che si siano risolti.
Se l'argomento è errato nella forma, si riuscirà sempre a risolverlo. Il gran problema si presenta quando l'argomento è difettoso in dottrina, perché la sicurezza di risolverlo implica la conoscenza evidente, l'evidenza del mistero divino che non è conosciuto.
In tali casi nessuno possiede l'evidenza del mistero ed il teologo potrà rispondere che l'argomento non dimostra “necessariamente” l'impossibilità del mistero, al quale non c'è replica perché non si potrà mai dimostrarsi che necessariamente il mistero discusso è impossibile.

 

Insegnamento 7: Il Concetto Ariano della Creazione

Man mano che continuava a sorgere l'uomo Ariano fu perdendo l'Umanità la conoscenza “clare visa” di Dio, che era stato patrimonio della razza Atlante.
Gli uomini Atlanti possedettero, grazie alle caratteristiche tipiche della sua razza, la visione diretta di Dio ed in conseguenza il concetto dell'Unità Assoluta di Dio.
Ma man mano che continuava a nascere la mente razionale caratteristica e conquistava nuovi Ariani, questa fu oscurando, fino a perdersi totalmente, le facoltà psichiche della razza anteriore.
Gli ariani persero la visione diretta di Dio e sommersi in un mondo fenomenale, dipendenti totalmente dei suoi sensi fisici, conobbero ed adorarono solo nelle prime tappe della sua evoluzione alle forze della natura, che divinizzarono e personificarono a tale punto che erano veri dèi-uomini.
Tuttavia non sparì totalmente, come un ricordo soggiacente nell'anima, il concetto dell'Unità Divina, a tale punto che si trova invariabilmente nel variopinto mondo delle divinità ariane il concetto del Dio Supremo, superiore a tutti, lontana reminescenza della passata conoscenza.
Il concetto fondamentale non potrebbe morire. Sostentato sicuramente per i Grandi Iniziati a chi spetta tale compito, fu necessario aspettare il momento propizio affinché tornasse a sorgere con tutta la sua forza.
Ciò non poteva succedere, logicamente, fino a che la nuova conquista, la ragione, si sarebbe sviluppato sufficientemente come per tentare attraverso lei, la riscoperta delle Verità preservate nelle tradizioni della rivelazione.
La riscoperta del concetto dell'Unità Divina, dell'Assoluto, o come abitualmente si lo chiama Quello, non potè essere necessariamente un atto istantaneo.
Anni, decadi, forse secoli furono necessari affinché i Grandi Iniziati, i saggi e maestri dell'antichità trovassero preparata la mente, la nuova mente razionale, per arrivare passo per passo a dedurre logicamente e razionalmente il pensiero dell'Immanifesto, dell’Eterno.
Si è menzionato già che sono i Grandi Iniziati e dopo i suoi discepoli quelli che, affermando la Rivelazione, scoprono le implicite Verità inferite che, sviluppate correttamente, dopo si condensano in dogmi.
Il ritorno al concetto dell'Unità Divina costituisce indubbiamente una vera deduzione teologica, correttamente esposta e perfettamente ragionata.
Tanto fondamentale è stato quello compito, tanto chiari sono stati i concetti, i dogmi che i maestri dell'antichità trasmisero che hanno perdurato attraverso i tempi fino all'attualità a dispetto di oscuramento ed ombre transitorie provocate per filosofie e religioni che posteriormente proliferarono e prolifereranno.
Sommersi nel mondo fenomenale, dove la cosa multipla nascosta e lo veglia l’Uno, gli istruttori dovettero partire indubbiamente, per i suoi ragionamenti, dalla manifestazione percettibile della Natura e dell'Universo.
Essi, come ancora succede al giorno di oggi, comprovarono che tutto quello che costituisce il mondo fenomenale, tutta la manifestazione che si vede, palpa, piace, annusa e ascolta, si trova in costante cambiamento.
Niente è costante, permanente, fisso, imperituro nel mondo fenomenale.
Da questa osservazione sorge la logica deduzione che niente è durevole e permanente nel mondo fenomenale e che tutto quello che si osserva non è altro che una serie di forme ed avvenimenti successivi.
Come niente è costante né permanente, si deduce che tutto quello che si osserva non ha veramente esistenza reale, bensì solo fugace e transitoria.
Mediante logico ragionamento si deduce allora che la manifestazione percettibile, l'Universo fenomenale, non è reale in senso assoluto.
C'è qui allora il momento in cui si presenta il gran punto interrogativo.
Se il mondo fenomenico non è un reale assoluto, c'è qualcosa più che non percepiamo, che cosa sottostante è nascosta dietro i veli?
I Grandi Iniziati, custodi e divulgatori della Gran Verità, dichiararono ed affermarono che dietro il velo del mondo fenomenico esiste Qualcosa di reale e sostanziale perché, ragionavano, benché quello che si percepisce fosse un'illusione, su che cosa una mera apparenza, si appoggerebbe, quale sarebbe la causa dell'illusione?
L'apparenza non può esserlo da sola. In conseguenza, si deduce che deve avere Qualcosa di reale e sostanziale.
Reale, in senso assoluto e sostanziale, significando natura o essenza reale o esistente. Quell'in cui tutte proprietà e qualità sono inerenti.
Si conclude allora che tutto il mondo fenomenico si appoggia, per così dire, in qualcosa di universale, in una Sostanza o Essenza, Reale in senso assoluto, la quale è necessariamente l'Unica Realtà.
Sorge qui la domanda se quella Sostanza è semplice o composta, Un o Multiplo.
La ragione deduce che è Una nella sua Essenza, basandosi, come lo fa rigorosamente la scienza sperimentale contemporanea, nell'osservazione del mondo fenomenale dove si verifica un rigoroso incatenamento ed ordinazione dei fatti a tale punto che ogni fenomeno osservabile è la conseguenza di uno anteriore e la causa del susseguente. Si arriva così a quello che alcuni chiamano la Causa Prima o, come si disse, al concetto razionale che la Sostanza è Una nella sua essenza.
Ma, l'unica realtà scappa al potere razionale dell'uomo. Non si può comprendere né immaginare la sua natura ed essenza. Non è possibile applicargli gli attributi, qualità e definizioni del mondo, dell'universo fenomenico, perché li trascende.
È allora Inconoscibile per l'uomo; Indefinibile ed Ineffabile, cioè, che non si può definire né spiegare con parole.
Per ciò ed in mancanza di migliore possibilità si è dato in chiamare a Dio in quell'aspetto “Quello”, “Assoluto”, “l’Immanifesto.”
È necessario qui introdurre, per meglio dire ricordare, un altro postulato fondamentale stabilito per i Grandi Iniziati che si mantiene incolume fino ai nostri giorni, a tale punto che costituisce una legge fondamentale delle scienze sperimentali.
È la legge della conservazione dell'energia, ed aggreghi della materia che, formulata a questo proposito dice che di niente non può sorgere qualcosa e qualcosa non può perdersi nel niente.
Applicando questo postulato all'analisi dell'unica Realtà, si deduce razionalmente in primo luogo che Quello è stato sempre, perché non può sorgere dal niente, e secondo che è eterno, perché qualcosa non può annichilirsi in niente.
In altre parole, Quello è stato sempre, è e sarà: è Eterno.
Ma Dio, anche Quello, è Infinito, perché non può immaginarsi fuori qualcosa di Lui, niente che lo definisca, limiti, circoscriva, colpisca, influisca o causi. Tutto lo tiene in Sé.
È allora Quello l'unica causa dell'universo fenomenico perché non c'è un'altra causa fuori di Lui.
È la Causa senza causa, la Causa reale, l'unica causa reale poiché fuori di Lui non c'è causa reale assoluta.
Dunque causa ed effetto siano in realtà inesistenti nel mondo fenomenico, come già si disse, bensì semplicemente un incatenamento di effetti, un continuato ed ordinato sviluppo di eventi che tutti obbediscono all'unica e reale Causa, a Quello.
Relativamente, si osserva nel mondo i fenomeni come ubbidendo ad una causa e lasciando un effetto. E si osserva come quello processo si realizza ubbidendo a leggi che ordinano e dirigono regolarmente continuamente i fenomeni.
Ragionando si capisce allora che questo gioco armonico ubbidisce ad una Causa fondamentale che è precisamente l'unica Causa reale, Quello.
Continuando il ragionamento si deduce che Dio, Quello, è anche Immutabile ed Indivisibile.
È Immutabile perché essendo la Causa unica, niente è che possa cambiarlo, c'è neanche qualcosa in cui possa cambiarsi o tramutarsi, dunque, essendo tutto quello che è, niente è in cui potesse farlo. Neanche può cambiarsi in un'altra Realtà perché è l'Unica, né può smettere di essere, perché qualcosa non può svanire in niente.
È Indivisibile, perché niente è che possa dividerlo; ma ancora quando l'immaginassimo possibile, risulterebbero due o più Realtà invece di una Realtà, concetto che respinge la ragione perché distruggerebbe l'infinita natura di Quello, la coesistenza di due infiniti e non è possibile.
 Finalmente, tutto quello che veramente È deve essere reale.
Dio è l'unica Realtà e conseguentemente è tutto quello che È e nessuna altra cosa può essere quella che È.
In conseguenza tutto quanto sembra essere, non è reale né ha esistenza propria e non è niente o è emanazione o manifestazione di Quello.
Qui si arriva al punto culminante del ragionamento teologico sulla Divinità Creatrice.
Si può dire realmente che Dio, Quello, creò l'Universo, il mondo fenomenico?
I Grandi Iniziati, per rispondere razionalmente questa questione, si affermarono sul postulato fondamentale che del niente non può uscire qualcosa.
In conseguenza si respinge l'idea di “creazione” nel vero senso del vocabolo, perché Dio non “può creare” l'universo fenomenico del niente poiché quello niente significherebbe “a priori” uno stato esistente e distinto di Lui, che non è possibile.
Neanche Dio potè “creare” qualcosa della Sua propria Sostanza ed Essenza, perché ella è eternamente semplice ed incompatibile coi composti.
In conseguenza deve accettarsi che l'universo fenomenico è il risultante di un processo irraggiungibile alla ragione umana.
Dio fece l'Universo del Suo Niente, di quello che la mente non può comprendere.
Gli antichi maestri condensarono, in tre postulati fondamentali, gli aspetti basici utilizzati per speculare sulle relazioni dell'universo fenomenale e la Realtà, e sulle quali si basa questa esposizione; essi sono:
Del niente non può uscire niente. Il niente non può essere causa né origine di qualcosa. Niente reale può essere creato perché se ora non è, non potrà essere mai. Se non fu, non può essere ora, e se è ora, fu sempre.
Qualcosa reale non può svanire nel niente. Se ora è, sarà sempre. Niente che è può annichilirsi. La dissoluzione è solamente il cambiamento di forma, la risoluzione di un effetto nella sua precedente causa reale o relativa.
Tutto quello che ha evoluto deve avere involuto. La causa reale o relativa deve contenere l'effetto e l'effetto deve essere la riproduzione della causa reale o relativa.

 

Insegnamento 8: Evoluzione del Dogma

Il Dogma è una Verità Divina indiscutibile alla quale si presta obbedienza per abitudine di fede.
Il Dogma può essere una Verità formale esplicita, come può essere anche una verità virtuale implicita.
Detta verità, esposta, ha ed esprime un senso e è precisamente la missione della Teologia, discernendo su quella verità, chiarire, fissare ed ampliare quello senso affinché la luce contenuta nella Verità Rivelata brilli sempre di più ogni volta con più splendore ed allume il campo della conoscenza razionale dell'uomo.
Ma, come è ben conosciuto, la Verità Rivelata ed i dogmi si offrono conseguentemente a volte in forma un tanto oscura e fu a volte compito improbo da parte dei teologi scoprire il suo vero senso, se è che tale compito non fosse realizzata già anteriormente per alcuni Grandi Iniziati ed i suoi discepoli.
Tale situazione di relativa oscurità di fronte al “senso” del dogma portò come conseguenza discrepanze teologiche ch’incluso portarono ad alcuni ad affermare che il dogma non conserva sempre lo stesso senso, che può variare e fino a cambiare il senso.
Secondo gli obiettori, il contenuto dogmatico, cioè il dogma, non è soggetto all'invariabilità dei dati obiettivamente rivelati per Dio, bensì piuttosto alle alternative dei fattori psicologici e religiosi dell'uomo.
Per essi, i dogmi sono tanto contingenti e mutevoli quanto le condizioni soggettive dell'uomo l'ammettono.
Queste condizioni soggettive nell'uomo evolvono e cambiano frequentemente, senza che nei cambiamenti ci sia continuità omogenea.
Secondo questa interpretazione i dogmi possono cambiare suo contenuto sostanziale a tale punto che le formule dogmatiche potrebbero, col tempo, avere sensi completamente diversi ed incluso opposti.
Non è possibile l'evoluzione del dogma di un senso ad un altro, c'è trasformismo. Ma sì è possibile l'evoluzione omogenea dentro uno stesso senso.
Il dogma può evolvere senza pericolo di cambiare senso, di trasformarsi.
L'evoluzione è una qualità inerente alle cose vive e progressive, e so pena di volere chiamare la Rivelazione qualcosa morta e inerte, deve accettarsi che il dogma evolve e ha evoluto sempre, tale quale lo dimostra la storia dei dogmi e la teologia.
Per comprendere che il dogma può e deve evolvere è necessario chiarire innanzitutto un'altra volta che la Verità Rivelata è eterna e non smetterà mai di esserlo. Ma è anche certo che una verità, esposta in un modo determinato, può smettere di avere ogni interesse, applicazione e trascendenza in un momento dato. La vita, l'ecosistema, le circostanze generali arrivano a trascendere la verità dogmatica esposta in una forma determinata, ma ciò non significa che il senso originale ed unico della Verità abbia smesso di avere validità o debba e possa cercarsi nella Verità un altro senso distinto ed incluso opposto.
È con una certa giustizia che si rimprovera a filosofi e teologi che a volte “vivono” nel passato. È certo che non manca chi pretenda che si continui ad usare una frase devota benché niente significhi già.
Davanti a questo pericolo allora di rimanere dietro, il teologo deve ricordare che le verità fondamentali, le rivelazioni ed i dogmi sono di sempre e che se a volte appaiono caduchi e fuori luogo, è perché si è perso il contatto con l'evoluzione umana.
Dunque il teologo deve tentare di proiettare sempre sui problemi attuali le verità fondamentali che, all'essere di sempre eterne, lo sono anche di oggi.
In questa forma, mantenendo uno stretto contatto colla vita ed evoluzione umana, la verità fondamentale, il dogma, partecipa di detta evoluzione a forma omogenea, chiara e precisa, conservando inalterabile il fondamentale senso contenuto nel dogma.

 

Insegnamento 9: Teologia dell'Esistenza

L'idea dell'Assoluto, di Dio, è sottostante in ogni mente umana.
Tuttavia, attraverso i tempi ed ancora parallelamente, l'Umanità ha considerato da molti diversi punti di vista la sua posizione di fronte a quello Assoluto.
Ancora ammettendo, negando o stando in silenzio su Lui –posizione che in ultima istanza è identica perché come affermare o negare quello che la mente umana è incapace di penetrare?– gli uomini tentarono di trovare la Verità e la spiegazione della sua esistenza per mezzo di sé stessi, dell'universo e del mondo fenomenico.
Di fronte a questo mondo fenomenico, affermando, negando o respingendolo, i pensatori occuparono diverse posizioni fondamentali che in ultima istanza si concretarono in filosofie, teologie e religioni caratteristiche.
Nella differente interpretazione dell'universo e mondo fenomenico e la sua relazione con Dio, implicando logicamente anche al'uomo, si poggia allora la differenza essenziale tra i diversi sistemi formulati dall'antichità per gli uomini e che, condensandosi in concetti assiomatici teologici, sono arrivati fino ai nostri tempi.
Una delle correnti di pensieri, che ha perdurato fino al presente è quella che può chiamarsi la Filosofia e conseguente Teologia dell'Esistenza, cioè della manifestazione nel suo aspetto di permanenza.
Effettivamente, di accordo con questa concezione, l'universo fenomenico non è il risultato di una forza o manifestazione unica ed assoluta bensì di una forza duale.
Queste due forze agiscono parallelamente e simultaneamente, e influiscono costantemente tra sé senza fondersi mai.
Questo gioco dei due aspetti, nel suo costante viavai e senza riuscire mai l'Unità, genera sempre nuovi aspetti, che non riuscendo mai l'unità, appaiono come infinità di nuove forze, simili, che infine imprimono all'osservatore il concetto di permanenza della manifestazione, cioè, dell'universo fenomenico.
Tuttavia persiste sempre nella mente dell'uomo l'idea fondamentale dell'Unità di Dio.
Questa verità assiomatica, accettata ed affermata attraverso tutti i tempi, obbliga allora alla deduzione logica e teologica che se esiste un universo creato ed una manifestazione, deve c'essere un punto di origine.
A sua volta questo assioma conduce per logica alla deduzione di una nuova verità che consiste in affermare che sotto ogni forma cangiante c'è un punto fisso e permanente.
Questa deduzione è forzosa, come si capisce facilmente. Effettivamente, essendo assioma fondamentale inamovibile il concetto di unità assoluta, non è possibile applicare a Quell'il carattere duale della manifestazione fenomenica ed apparendo questa come un costante movimento di due forze che non arrivano mai ad equilibrarsi, solo si può concepire Quello come il perfetto equilibrio, l'armonia, la mancanza di movimento duale.
In altre parole, il punto fisso e permanente che sottosta dietro ogni forma cangiante fenomenica.
Il corollario ineludibile di questa concezione, basata nell'affermazione dell'Assoluto in sé e della dualità fenomenica apparente, è quello che imprime il suo carattere speciale a questa teoria, perché sottostando dietro ogni fenomeno un punto fisso permanente, Dio, tutta la cosa esistente acquisisce un carattere divino fondamentale.
L'anteriormente esposto sintetizza i concetti teologici fondamentali di questa corrente del pensiero umano e lascia scorgere già dalla sua orientazione nel campo speculativo pratico.
Sottostando Dio sotto tutte le forme cangianti del mondo fenomenico, originate per l'interazione di quello che si chiamò prima, per esempio, i due aspetti fondamentali che utilizzano logicamente qualche veicolo, vibrazione energetica per influenzarsi reciprocamente, la ricerca di Dio si incamminerà sempre verso la conoscenza di quegli aspetti o forze, per riuscire a scoprire mediante la pienezza di detta conoscenza il vero substrato, la realtà ultima.
Da lì risulta in ultima istanza soprattutto in alcuni scuole la disperante ricerca, il costante approfondirsi nei diversi aspetti dell'universo fenomenico cercando sempre dietro il fenomeno, la Realtà.
La conseguenza di questo atteggiamento dovuto a volte alla delusione o frustrazione nello sforzo, è la tendenza di alcune scuole al materialismo ed incluso al’ateismo, come forme estreme di deviazione della dottrina pura.
Ma veda come i filosofi e teologi concepiscono originalmente questa dottrina.
Si è detto già che due forze o principi attivi producono mediante la sua interazione tutti i fenomeni dell'universo, incluso quelli di vita, manifestandosi in innumerabili forme e varie combinazioni.
Esse sono: La primordiale Sostanza o energia, della quale derivano tutte le forme ed energie; ed il principio spirituale.
Questi due principi si sono chiamati in India Prakriti e Purusha.
Il processo di arrotolarsi lo Spirito nella sostanza dà origine alle diverse forme differenziate dell'universo fenomenico.
Sull'apparizione o manifestazione di quelli due principi attivi e sulle sue caratteristiche, naturalmente le diverse scuole non concordano totalmente.
Così per esempio, alcune non concepiscono il principio Spirituale come l'Anima Universale bensì come un infinito composto di atomi spirituali o spiriti individuali che costituiscono l'Unità chiamata Principio Spirituale nel suo insieme.
Dentro questa orientazione, i due principi, Spirito e Sostanza, non sono aspetti di Dio, del’Assoluto, bensì mere emanazioni, finite e periture, cioè, non eterne realmente, perché entrambe devono ritornare, riassorbirsi in Dio alla fine di ogni ciclo di attività cosmica.
Sono allora solo le forme primarie dei due fondamentali principi dell'attività fenomenica, lo Spirito ed il Corpo che l'uomo osserva come evidente in ogni fenomeno.
In quanto al meccanismo dell'emanazione niente si può dire, perché sta oltre la possibilità umana. Tuttavia, per sottolineare che non sono aspetti di Dio, normalmente si afferma che dette emanazioni sono come forme di pensiero di Dio, col quale si salva la possibile interpretazione d’una dualità dell'Uno, di Dio.
Esistono anche discrepanze tra le scuole in relazione ai concetti di Eternità. Se si associa questa idea al concetto di permanenza, risulterebbe che i due principi sarebbero eterni, infiniti ed esistenti per sé stessi.
Questo si spiega tuttavia se si dilucida il concetto di Eterno. Dio, l’Assoluto, è Eterno realmente; l'universo fenomenico è solo eterno relativamente, dentro il ciclo di manifestazione divina, nel quale è possibile apprezzarlo.
Con questa dilucidazione si dissolve ancora il rimprovero di materialista che si brandisce contro la dottrina dell'esistenza, quando deve ammettersi, come già si disse, che, in ultima istanza, alcune scuole non scapparono da quella tendenza.
Col proposito di dilucidare più la dottrina e le sue ultime conseguenze si riassumeranno i concetti di alcune delle più classiche scuole.
Si è visto già che il chiamato principio Spirituale non si interpreta come lo Spirito Universale nel senso di un'indivisa Unità bensì, al contrario, come l'insieme di innumerabili spiriti individuali, liberi ed indipendenti.
Di non essere così non potrebbe spiegarsi l'infinita varietà degli aspetti della natura perché benché si concepisse l'Uno diviso in infinite parti, ognuna di esse sarebbe della sua stessa natura ed uguali in tutto, quello che esclude la variabilità, caratteristica della natura.
Il principio spirituale Purusha non ha attributi, è puro Spirito e la sua esistenza si concepisce come di perfetta pace, riposo e felicità fino al momento in che si immerge nella Sostanza, influenzandola ed orientandola come il campo magnetico influisce al ferro.
Questo atto determina quello che si chiama un'anima, cioè lo Spirito avvolto nei suoi organismi di manifestazione, rimanendo da allora soggetto al ciclo di esistenza.
L'esistenza significa una dura prova di dolore allo Spirito imprigionato che sente la mancanza del suo stato di primitiva prosperità.
È allora oggetto principale della dottrina proporzionare all'anima i mezzi di liberazione, affinché trascenda la legge karmica ed i rinascimenti, e lo spirito recuperi il suo originale stato di libertà.
Secondo la scuola che si commenta, gli spiriti individuali costituenti del gran principio Spirituale erano nella sua origine completamente liberi, fino a che l'attrazione e poderosa influenza della Sostanza li incatenò. Come conseguenza di quell'incatenamento lo spirito individuale fu perdendo il suo stato di pura coscienza divina cadendo gradualmente nell'inganno o illusione dalla materia. Veri angeli caduti, deambulano nel mondo, illusi per le ingannevoli forme di “maya”, fino a che dietro lunga peregrinazione il dolore torna a svegliare nell'anima il vago ricordo della sua vera origine libera. Comincia allora la lotta per riconquistare la prosperità persa, che non finisce fino a riuscire quell'obiettivo mediante innumerabili incarnazioni.
Si dice che dalla combinazione delle azioni dei due principi –spirituale e materiale energetico– derivano tutti gli aspetti e tutta la vita del mondo fenomenico, a tale punto che incluso ogni atomo di materia è sostanza animata per uno spirito individuale. In questa forma si spiegano tutti i fenomeni dell'universo, dai più semplici fino ai più complessi.
Come si vede, questa dottrina cerca di spiegare tutto l'universo nelle sue cangianti manifestazioni e rinchiude in sé gran parte delle concezioni scientifiche attuali.
Quello che chiamano sostanza non è altro che la primordiale sostanza cosmica o energia cosmica che evolve, si condensa ed altra volta si trasmuta dopo secoli.
 La mente nasce mediante l'azione dello spirito sulla sostanza (materia energia) e ha allora carattere materiale, come si la concepisce ancora attualmente.
La materia è attiva mediante la sua energia –ma inerte, insensibile se non è illuminata per lo Spirito.
Attraverso queste affermazioni, la pura dottrina si alza sulla concezione materialista dell'universo, spiritualizzandola con elementi che infine cercano di spiegare l'evoluzione universale.
La sostanza-materia si trova evolvendo costantemente dal momento che fosse animata per lo spirito. Ha sofferto tanti cambiamenti e trasformazioni ch’è impossibile che la mente individuale possa riconoscere la sua vera natura. Ancora più difficile risulta alla mente immaginare almeno il magnifico stato di libertà dello spirito prima di rimanere legato alla materia.
Tuttavia –e questa è l'ultima finalità di questo sistema– si proclama che per mezzo della vera conoscenza, il discorso ragionato e scientifico, la retta condotta –cioè l'adeguato metodo di vita materiale, mentale e spirituale– e la conquista delle passioni, alla mente si la può impiegare in tale atteggiamento di comprensione superiore che riesce a concepire la vera natura originale dei due principi duali che dirigono e costituiscono l'universo.
Mediante questo metodo, denunciando al'illusione ed alla fallacia della vita terrena, questo sistema cerca per i suoi adepti la liberazione dalla catena di reincarnazioni che sottomettono al libero spirito ad una vita materiale e dolorosa nella terra.

 

Insegnamento 10: Il Vedanta

Tra i sistemi che seguono in linee generali il pensiero della teologia dell'esistenza, si deve sottolineare principalmente il Vedanta in Oriente, mentre in Occidente è riapparso anche anni fa, centralizzandosi specialmente ora nel chiamato esistenzialismo di J. P. Sartre.
Il sistema Vedanta merita speciale attenzione nell’India attualeper la sua antichità, perfetta strutturazione ed ampia accettazione e diffusione.
Il sistema Vedanta, nome che deriva da “ultimo Veda”, si basa specialmente sull'ultima parte dei Veda: gli Upanishads. Si dice che la sua origine si perde nell'antichità, e la sua formulazione si attribuisce al leggendario istruttore Vyasa, mentre altri considerano a Badarayana come padre del sistema, e questo ad ogni modo significherebbe che è anteriore al Buddismo.
Il Vedanta, in estremo tollerante, riconosce tutta la prima parte dei Veda e l'accetta, ma il suo tema principale è lo studio degli Upanishads che si riferiscono specialmente a tutto quello relativo all'Assoluto o Brahman ed alla sua manifestazione fenomenica.
Il sistema è essenzialmente razionale, non si fonda per niente sulla fede, e soddisfa a tutti quelli spiriti d’inclinazione scientifica che cercano la sua liberazione mediante lo studio sistematico e scientifico del mondo fenomenale e multiplo, in relazione all'Uno.
Detto aspetto l'ha tornato sommamente ampio ed universale, adattandosi alle necessità particolari momentanee di ogni individuo.
Fondamentalmente sostiene che c'è una sola ed unica Realtà. Tutto il resto è illusorio.
Logicamente una formulazione tanto ampia si adatta, come si vedi, per accettare qualunque dottrina, perché in chiunque dottrina si scopre sempre qualcosa reale, dicendo dopo che niente è vero, eccetto l'unica Realtà.
Come è saputo, le dottrine dell'esistenza sostengono l'idea che l'universo e le anime individuali sorgono come un'emanazione dell'Assoluto Brahman, non dilucidandosi tuttavia maggiormente come.
I Vedantini, portando all'estremo il suo concetto idealistico affermano l'unica Realtà, essendo allora tutto il resto illusorio o una manifestazione dell'Uno come multiplo, ma senza effettiva e reale divisione.
L'universo illusorio proviene dall'ignoranza provocata per Maya (apparenza illusoria). Dunque già non esiste una manifestazione bensì solo un riflesso o apparenza perché niente esiste fuori dell'unica Realtà.
Tra le diverse scuole vedantine, l’Advaita si stacca come la più importante.
È stato riassunto il suo pensiero nelle seguenti parole: “Brahman è vero; il mondo è falso; l'anima è Brahman e non un'altra cosa”.
Come si vede, il pensiero è diventato ancora più audace e non sono oramai gli spiriti individuali quelli che perdono la sua identità e libertà formando un illusorio universo, ma nell’Advaita,  lo stesso Brahman rimane avvolto per Maya. Si dice che Brahman “immaginandosi” separato in infiniti spiriti costituisce un illusorio universo che l'incatena. L'Infinito si sprofonda in una “trasognatezza” del mondo fenomenale e si immagina essere infinito spirito invece dell'unico Essere.
Come si vede tutta la manifestazione risulta allora un'illusione.
Brahman, Dio, è l'unica Realtà, indivisibile, immutabile, unico; tutto l'universo fenomenale è una finzione, un'illusione risultante della trasognatezza di Dio che si manifesta come l'illusione del separatismo, dell'universo sensorio.
Le anime anche risultano illusioni nella mente di Dio, chi vedendosi infinitamente specchiato nell'ingannevole Maya, s’immagina multiplo e si contempla con gli innumerabili occhi dei riflessi di sé stesso.
Le anime individuali non smettono allora di essere mai Brahman, benché mentre non si liberano del mondo fenomenico persistano nel suo errore che sono solo un illusorio riflesso o somiglianza di Brahman.
La combinazione dei fittizi riflessi costituisce allora la manifestazione di Brahman, il quale s’identifica con le innumerabili forme e personaggi che solo esistono nella sua immaginazione.
Le anime individuali, come apparentano, solo possono scappare dal mondo fenomenico e dall’illusorio di Maya mediante il riconoscimento della sua identità con Brahman.
Solo mediante la vera conoscenza (cioè, riconoscimento) l'anima può liberarsi, e trovare e recuperare la coscienza del suo vero essere.
Gli advaita (non duali) non coincidono totalmente colla dottrina generale rispetto al concetto di Brahman, assoluta Essenza e Sostanza.
Per essi significa soprattutto Assoluta Esistenza, assoluta conoscenza, assoluta Felicità, pienezza massima.
In quanto al concetto di Maya, non deve interpretarsi come l'illusione o ignoranza delle anime individuali. Appare, benché sia impossibile spiegare come, cominciando l'attività creativa e la descrive come l'ombra di Brahman, la quale sparisce cessando il ciclo.
Essendo prodotta da Brahman, si appare come reale, benché non lo sia in sé, per il cui motivo gli advaita vedono in Maya la causa materiale dell'universo fenomenico. Maya non è realmente “qualcosa” bensì solo la copertura di qualcosa.
L'universo fenomenico non si limita al niente come nella dottrina della non esistenza, ma è l'illusoria apparenza di una soggiacente realtà per il cui motivo al fine pratico della vita lo considerano reale benché si sappia che è solo un'apparenza essenzialmente illusoria.
Con questa dottrina rimane aperto all'uomo un larghissimo campo di attività tanto nell'ambito obiettivo quanto nel soggettivo. Elimina ogni negatività ed incita al'uomo ad un'attività e superamento di sforzi costanti.
Ma dentro quell'attività della vita mantiene costantemente in alto lo stendardo dei suoi postulati idealistici, poiché ricordando agli uomini che solo “Brahman è vero ed il mondo è falso” mantiene vivo sempre il concetto dell'essenziale origine divina dell'anima.

 

 

Insegnamento 11: Teologia della Non Esistenza

Come le filosofie e teologie che si chiamano della “esistenza” hanno dato origine ad un gran svolgimento di tutto quello che si qualifica come conoscenza, le scuole che hanno adottato i postulati di quello che si qualifica di “non esistenza” sono stati le ispiratrici di tutto il movimento mistico dell'Umanità.
Gli obiettivi e problemi di queste scuole sono essenzialmente soprafisici, e lasciando ad un lato la conoscenza delle leggi del mondo fenomenale, si applicano a riuscire la conoscenza del Principio Fondamentale della manifestazione e di quello che sottosta in lui, cioè, di quello che esiste oltre il principio primordiale.
Ma ciò significa che in ultima istanza è necessario discorrere sull'Essenza Immanifesta per scoprire la sua origine.
Non è evidentemente necessario ragionare molto per notare che di riuscirlo smetterebbe di essere ignorata ed immanifesta.
La mente umana si riconosce, tuttavia, incapace di penetrare quello mistero e qualunque sforzo di lei in quello senso sarebbe vano.
Allora l'unico cammino che può portare ad una comprensione di Dio non è il mentale, bensì quello che conduce ad uno stato di similitudine nel quale si suppone si trova l'Immanifesto e che dà come frutto la conoscenza estatica.
Come si vede, questa forma di concentrarsi sulla conoscenza di Dio è essenzialmente mistica e continua, essendo fino al giorno di oggi la base di tutto il movimento mistico, come si verifica facilmente negli scritti di San Giovanni della Croce, il cui pensiero è il rettore di tutta la mistica cristiana contemporanea.
Il fatto di essere la mente umana completamente incapace di penetrare i Misteri Divini, come questa dottrina l'afferma, ha avuto come conseguenza che i suoi espositori fondamentali, i suoi grandi maestri, non parlassero mai dell'Immanifesto. Di lì il rimprovero di ateismo che li è formulato.
Ma certamente la vera dottrina non nega né afferma, semplicemente non parla né discorre su “Quello”, limitandosi a segnalare la forma come qualunque essere, per i suoi mezzi, può riuscire la superiore conoscenza illuminatrice.
Il principio fondamentale di questa dottrina, che si chiama della non esistenza, è contenuto essenzialmente nel concetto della non permanenza.
Effettivamente, se si osserva il mondo fenomenale, la manifestazione cosmica, dicono gli espositori di questa dottrina, si verifica che uno si trova di fronte ad un costante fluire, ad un costante cambiamento di forme ed aspetti. Non c'è un solo istante di riposo, non c'è un solo momento di respiro.
Tenti captare un fenomeno in un istante ed in quello stesso momento che si crede che la mente lo abbia captato, si verifica che non esiste più, che è scivolato, che non può controllarsi realmente.
Realmente non esiste, è solo una percezione soggettiva della mente, impossibile da controllare.
Per ciò, e come postulato fondamentale di questa dottrina, si dice che la manifestazione non è più che una successione di percezioni, momentanee, irreali.
E dicendo percezioni e non sensazioni si sottolinea il carattere soggettivo dell'osservazione fenomenologica, perché i sensi in sé, di per sé non danno conoscenza del mondo fenomenale bensì solo mediante la mente, quello che dà alla percezione e conoscenza il suo carattere soggettivo-umano.
Tuttavia, ancora dentro questa dottrina della non permanenza si ammette una permanenza. Il concetto dell'unità assoluta di Dio, dell'Uno, rimane come concezione assiomatica indistruttibile nel pensiero dell'uomo.
Dentro questo quadro con continui cambiamenti, di instabilità, si plasma il concetto della permanenza dell'Uno, dello Io Assoluto come lo chiamano alcune scuole, postulato che porta all'ineludibile conclusione teologica che se unicamente se considera permanente allo Io Assoluto, niente è Io nella terra, nell'Universo. Tutto è “non Io”.
Tutto è instabile. Sensazioni, percezioni, corpi, coscienza, tutto è “non Io”, è illusorio.
Niente di ciò è sostanziale, bensì unicamente apparenze vuote, vuote di sostanza e realtà.
Lo io umano è allora anche solo un'ininterrotta serie e successione di immagini soggettive irreali, vuote, frutto dell'inganno dell'ignoranza.
Lo sviluppo di questo concetto fino alle sue ultime conseguenze è caratteristico di questa dottrina che porta inevitabilmente ai suoi adepti al disprezzo delle forme materiali e mentali ed, in ultima istanza, al misticismo.
Concordante colle sue concezioni negative sulla realtà dell'universo fenomenico, il metodo seguito fondamentalmente per questa scuola è quello della negazione.
Per ciò era necessario seguire il metodo delle antiche scuole, possedere, conoscere innanzitutto tutti gli aspetti del mondo fenomenico e dopo negarli.
Si conosceva in primo luogo il mondo fisico e dopo si lo negava come illusorio e falso.
Si ripeteva dopo il processo nel campo mentale, tentando di ridurre anche qui sinteticamente tutti i concetti alle sue forme più semplici, respingendoli dopo come apparenti e vuoti, col proposito d’arrivare, mediante l'annichilazione della mente, ad una conoscenza puramente spirituale.
La mistica contemporanea ha conservato molti di questi concetti e metodi dell'antica dottrina, come si nota facilmente ricordando l'esposizione sulla notte dei sensi, della mente, eccetera, di San Giovanni della Croce.
Ugualmente non può dirsi che questa dottrina abbia prodotto o possa produrre una vera Teologia, perché la sua tendenza non è mentale razionale bensì di fede, concretandosi principalmente i suoi istruttori in segnalare la forma, il cammino a seguire per liberarsi dell'illusione dell'ignoranza e raggiungere il beatifico stato di armonica somiglianza con Dio.
La progressiva conquista della mente razionale per gli ariani, la razionalizzazione dell'Umanità, provocò la logica decadenza di questa dottrina e se non fosse per la rinascita che sperimentò per mezzo di Buddha, i cui insegnamenti ravvivarono la vacillante chiama della mistica e del sentiero della pura fede, non sarebbe rimasto al giorno di oggi l’esponente di questa pura dottrina spirituale.
Buddha, osservando la sofferenza dell'Umanità, comprese che la liberazione di lei non dipende dalla raffinatezza della ragione, di abili dispute metafisiche, dell'accumulazione di conoscenza e sviluppo di pensieri sottili che in ultima istanza possono portare all'uomo all'anarchia mentale. Evitò sempre per ciò la discussione metafisica e formulò la sua dottrina in maniera tale che qualunque uomo potesse praticarla con totale astrazione delle sue capacità intellettuali. Più che un nuovo sistema trascendentale diede ai suoi contemporanei ed alla posterità un nuovo concetto del dovere e della morale.
Buddha osserva il dolore dell'Umanità e scopre che la radice del dolore sta nel desiderio.
Il desiderio si applica agli oggetti del desiderio, cioè agli oggetti del mondo fenomenale, e come questi sono instabili, transitori, cangianti e perituri, l'amarezza e la delusione davanti alla sua perdita regnano costantemente. E questa amarezza e delusione sono la fonte del dolore che persegue all'Umanità affezionata ed avida degli oggetti e forme fenomenali.
In questa formulazione si scopre immediatamente la connessione della dottrina particolare di Buddha col sistema generale della non esistenza o non permanenza. Ugualmente si scorge cioè il metodo che raccomanderà, la scadenza del desiderio mediante la sua formulazione del’ottuplo sentiero.
Cosciente della profonda impressione che causano nell'anima umana i continui cambiamenti delle cose, formulò una dottrina evoluzionistica.
La vita si considera come un costante divenire, una serie ininterrotta di manifestazioni, trasformazioni ed estinzioni. Il mondo fenomenale, dei sensi, della mente, esiste solo per il momento a momento. Chiunque sia la durata di uno stato, breve o lungo, tutto è divenire, a tale punto che Buddha esprime come punto capitale del suo insegnamento che: Tutto quanto è soggetto ad origine, è soggetto anche a distruzione.
Questo divenire non ha principio né fine. Non c'è momento statico quando il divenire arriva ad essere, perché nello stesso momento in che si concepisce qualcosa con attributi di forma e nome, smette di essere quello che era, cambia in qualcosa di differente.
Ugualmente, allacciando il concetto di instabilità a quello di percezione soggettiva dei fenomeni, dichiara che l'universo (vivente) è un riflesso della mente.
Solo l'ignoranza fa vedere e credere in cose e forme stabili invece di processi continui ininterrotti. Artificialmente si divide il flusso continuo in sezioni chiamandole cose, ma ciò è illusorio,¡ perché la vita, l'universo, neanche è una cosa, né lo stato di una cosa, bensì un cambiamento o movimento continuo.
Per spiegare la continuità del mondo e mancando un substrato, un punto permanente, Buddha introduce nella sua dottrina la legge di causazione, facendola base della continuità. Da questa legge di causazione deriva dopo il concetto della continuità eterna del divenire.
Se sorge qualcosa, esiste una causa che l'originò. Se quello è assente, questo non diviene; se quello cessò, questo cessa.
Allora quello che si chiama una cosa è solamente una forza, una causa, una condizione, a tale punto che la dottrina afferma che le cose sono il prodotto di condizioni, e che il mondo intero è condizionato per cause.
Si formula qui la domanda di che se tutto risponde ad una legge causale, che causa originale mise in movimento al sistema.
Buddha non vede né trova niente permanente né reale nel costante fluire del mondo fenomenale, ma non può interpretarsi ciò come che volle dire che non ci sia niente reale in assoluto.
Buddha evita sempre il campo metafisico; si accontenta ed accetta i fatti dell'esperienza fenomenale che gli indicano che l'Universo è un tutto vivente, in costante cambiamento ed evoluzione, che si nega a dividersi in oggetti definiti e permanenti. Non afferma né nega che mediante il costante cambiamento ci sia qualcosa di permanente, è indifferente e non passa oltre il mondo dell'esperienza.
Per quel motivo insiste in che i fenomeni del mondo, come li capta l'intelletto, possiedono unicamente esistenza condizionata.
Tuttavia, Buddha riconosce l'Inmanifesto senza il cui esistenza ammette non ci sarebbe possibilità di uscire dal mondo di quello nato ed avvolto nella serie causale, benché non discorra su Lui.
Con ciò si completa il quadro causale in cui l'intelletto esige un essere incondizionato come condizione e causa della serie fenomenica universale.
L'Immanifesto in sé stesso non è parte della serie fenomenica né può avere tale condizione perché si trova fuori della legge di causazione, di contingenza e dipendenze.
Tuttavia, non può essere slegato di lei totalmente, perché in tale caso ella sarebbe irreale, per mancanza di causa e sostanza.
Si nota allora che tutto sembra essere, e nonostante non essere. È essere e divenire, è e non è, reale ed irreale, che si interpreta infine come una concezione idealistica di divenire, l'evoluzione dell'essere. Tutta la manifestazione, tutta l'esistenza è un fluire da un punto ad un altro, essendo impossibile all'uomo avvolto nel processo, distinguere in lui, separare l'essere dal non essere.
Per ciò, comprendendo le limitazioni umane, il Buddha si astiene da pretendere di introdursi in un campo imperscrutabile e mantenendosi dentro le portate pratiche dell'Umanità generale, trasmette questa dottrina di liberazione mediante la pratica delle virtù fondamentali.

 

Insegnamento 12: L’Ottuplo Sentiero

La dottrina del Buddha allontana al'uomo dal campo puramente razionale; gli indica come realizzazione pratica un metodo per riuscire la liberazione: il Sentiero. È questo un atteggiamento di vita che deve adottare.
Buddha collocò quattro postulati fondamentali o verità sulle quali basa tutto il suo programma di vita. Questi quattro postulati sono:
La conoscenza dell'esistenza del dolore.
La conoscenza che il dolore è causato per il desiderio.
La conoscenza che il dolore è unicamente eliminato mediante l'annichilazione del desiderio.
La conoscenza del sentiero che porta alla cessazione del dolore mediante l'annichilazione del desiderio.
Questo sentiero fu esposto diviso in otto aspetti per il cui motivo se lo chiama l’ottuplo sentiero.
Buddha respinge sempre gli estremi per il cui motivo condanna tanto il sensualismo come l'automortificazione. Il suo sentiero è il sentiero del mezzo.
Il primo degli 8 aspetti è la RETTA CONOSCENZA.
Indica che è necessario comprendere il male per comprendere la radice del male, ed il bene per comprendere la radice del bene.
Il male è riassunto nel seguente decalogo: Ammazzare, Rubare, Fornicare, Mentire, Mormorare, Usare linguaggio aspro, Parlare inutilmente, Avere avarizia, Essere crudele, Emettere giudizio che pregiudica.
La radice del male è il desiderio, la collera, la disillusione.
Il bene si definisce come astenersi da quelli dieci atti, e la radice del bene è l'assenza di desiderio, di colera e di disillusione.
Quando si capisce il dolore e la sua causa, quando si capisce la cessazione del dolore ed il sentiero che porta a ciò, si sarà riuscito la Retta Conoscenza.
Esponendo Buddha questo primo passo della Retta Conoscenza colloca tuttavia immediatamente un freno, a tale punto che, in vece de Retta Conoscenza, anche potrebbe chiamarsi Retta Fede.
Dando il suo classico esempio dell'uomo ferito per una freccia e dell’inutile che sarebbe per il ferito sapere nomini, condizione ed aspetto fisico del medico prima di essere soccorso, invece di ricevere direttamente l'aiuto, afferma l’inutilità della conoscenza razionale e della speculazione su quello ch’è trascendentale, e sull'ego ed altri aspetti.
Afferma dopo la legge karmica; così finisce la necessità di vincerla con gli atti della vita per riuscire la liberazione della catena di reincarnazione.
La seconda tappa è la RETTA INTENZIONE.
Comprende: Il pensiero di rinunziare alle abitudini mondane.
Il pensiero di non avere malevolenza; ed il pensiero di astenersi dalla crudeltà.
La terza tappa è quella della RETTA PAROLA.
Comprende: Astensione della menzogna, per non favorirsi a sé stesso né ad altri.
Astensione della mormorazione, evitando così discordie, si contribuendo all'armonia degli uomini.
Astensione del linguaggio aspro, evitando così il rancore e gli odi, e seminando al contrario l'amore, la dolcezza e la cordialità.
Astensione di conversazioni inutili. Parli con proprietà, brevemente e chiaramente.
La quarta tappa è quella della RETTA AZIONE.
Comprende: Astensione di ammazzare. Si condanna l'uso di armi ed elementi offensivi. Pieno di comprensione, simpatia, compassione, l'uomo deve praticare la pietà con tutti i suoi simili.
Astensione di rubare. Solo prende quello che gli è dato. Si elimina il desiderare quello ch’è di altra persona, purificando così il cuore.
Astensione di fornicare. Si superano i desideri carnali eliminandosi gli steccati tra i sessi.
La quinta tappa è il RETTO VIVERE.
Si incita ad abbandonare i riprovevoli metodi di riuscire la sussistenza, la quale deve adattarsi ad un'etica stretta. Soprattutto si indicano quelle che causano dolore e miseria diretta, come essere la professione di macellaio, cacciatore, pescatore e militare. Quelle che causano dolore indiretto, come commerciare con bibite tossiche; commerciare con veleni; commerciare con armi e commerciare con esseri umani. Si aggiungono anche come reprobe le pratiche di divinazione, usura, giochi di mano ed altri.
La sesta tappa è il RETTO SFORZO.
    Comprende: Lo Sforzo di Eliminazione. Consiste in dominare le sensazioni, eliminandoli mediante lo sforzo della volontà affinché non provochino desideri, appetiti e cattive tendenze.
Lo Sforzo di Dominio. Consiste in fortificare la volontà per potere fare di fronte a qualunque desiderio, alla collera e la disillusione, allontanandola volitivamente dalla mente. Per riuscire questo proposito deve rimpiazzarsi un’idea cattiva con una buona; deve riflettersi sulla miseria di questi pensieri cattivi; non si deve dare ascolto ai pensieri cattivi; si devono analizzare i pensieri cattivi in tutte le sue parti; si deve affogare colla mente tutti i pensieri cattivi fino a che spariscano e si dissolvano.
Lo sforzo di Riproduzione. Consiste in generare in sé stesso la volontà di creare cose buone, di fare sorgere in sé stesso il bene. Si otterrà così l'allegria, l'attenzione, la tranquillità, la concentrazione e l'equanimità.
Lo Sforzo di Conservazione. Consiste in sviluppare la volontà da conservare e preservare le cose buone che sorgono, perfezionandole. Si supera la pigrizia e si acquisisce spirito di vigilanza.
La settima tappa è la RETTA ATTENZIONE.
In lei il discepolo si osserva ed osserva agli altri. Osserva il corpo, la mente ed i fenomeni interni, avendo dominato già i desideri. Osserva la respirazione e l’espirazione, e deduce l'esistenza di qualcosa, del corpo, che tuttavia è solo un uomo in relazione ai quattro elementi, e delle proprietà che gli sono inerenti: occhio, udito, naso, lingua, corpo, forma, suono, gusto, eccetera.
Nasce così la coscienza dai cinque aspetti dell'esistenza, soprattutto i mentali; sensazioni, percezioni, volizioni, coscienza e l'aspetto materiale; ma non c'è realmente creatura, bensì solo i cinque aspetti che dipendono da certe cause. Il discepolo osserva tutti i movimenti del corpo e ha chiara coscienza di tutto quello che passa. Osserva tutti i dettagli del suo corpo e li conosce. Osserva le nascite e la morte e, come disse il Buddha, arriva alla conclusione di che “lì solo assistono corpi”.
Quello che riesce questa conoscenza domina lo scontento, la paura, il caldo, il freddo, la fame e la sete, domina e sopporta tutte le molestie, con pazienza e mansuetudine.
Il discepolo osserva anche le sensazioni e comprende che in senso assoluto non c'è individuo alcuno che provi la sensazione. “Io sento” è solo un'espressione del linguaggio.
In forma simile osserva i fenomeni interni e conclude che ci sono fenomeni, ma ciò non è prova di realtà.
L'ottavo ed ultimo aspetto è la RETTA CONCENTRAZIONE.
Buddha chiama acutezza della mente alla concentrazione. Si deve cercare l'appoggio del Retto Sforzo per riuscire questa acutezza.
Il praticante ha dovuto pulirsi della concupiscenza, della collera, delle fiacchezze, dell'inquietudine e del dubbio.
Lontano dalle sensazioni e del male ottiene la prima trance. Si è liberato dei cinque scogli menzionati, ma sono presenti ancora il raziocinio, la riflessione, il godimento, la felicità e la concentrazione.
Nel secondo passo ottiene l'unità mentale mediante l'eliminazione del raziocinio e la riflessione.
Nel terzo passo sparisce il godimento e solo rimane la felicità e concentrazione.
Nella quarta trance solo rimangono già l’equanimità e la concentrazione.
Ma per elevato che sia il volo dello spirito, mentre rimane la minima sensazione, il più sottile desiderio, mentre non si sia passato il regno senza forme, non si capirà il Nirvana. Solo l'annichilazione del desiderio, il superamento di ogni sensazione, la perfetta rinunzia permette all'anima di arrivare a quello stato di coscienza divina in cui superato ogni desiderio, l’essere riesce dominare la reincarnazione ed il dolore umano.

 

Insegnamento 13: Teologia della Creazione

L'uomo ariano, l'uomo che ebbe e ha ancora come missione la piena conquista della mente razionale, non poté scappare dal ricordo ancestrale del concetto dell'unità di Dio. Ma il concetto dell'Immanifesto, del’Assoluto, di quello Senza Nome, sebbene si mantenesse e mantiene ancora nell'Umanità, non poté soddisfare sempre la mente incapace di sottilizzarsi ed alzarsi permanentemente fino a tanto elevate altezze.
Il riconoscimento di che esistono forze superiori alle proprie, il riconoscimento che è evidentemente un po' che in definitiva deve riunire in sé tutta la forza e potere che si vede agire nel mondo ed universo fenomenico, condusse gli uomini ad una nuova concezione, ad un nuovo e differente punto di vista, alla concezione di un'entità superiore che riassumesse tutti gli aspetti superiori e che costituisce in definitiva quello che si chiama il Dio Personale.
Questa concezione toglie in definitiva il concetto di Dio, del Creatore, del campo irraggiungibile ed inconoscibile assoluto, lo toglie dall'Immanifesto Assoluto, per qualificarlo ed adornarlo con gli attributi più eccelsi che la mente umana possa immaginare.
Dio si trasforma così in una superimmagine umana al Dio Personale. Vero Creatore Personale dell'Universo e del mondo fenomenico, l'uomo, allora, è fatto alla sua immagine, ma è distinto di Lui.
Esiste allora una permanenza di un Essere Universale distinta della permanenza degli esseri della sua manifestazione.
Questa concezione che chiamiamo monoteista pura, ha evidentemente un’origine atlante, perché quelli paesi, per le sue disposizioni psichiche caratteristiche della sua razza, ebbero la concezione della potenza Unitaria Creatrice dell'Universo.
Ma quella conoscenza intuitiva, conservandosi e trasmettendosi alle razze Ariane, si umanò a tale punto che, col tempo, si trasformò in un'entità, nel Dio Creatore Personale.
Gli antichi egiziani, discendenti degli Atlanti, furono quelli che propagarono questo concetto di un Dio Personale, centro e vita dell'Universo. Egli è Egli, e nient'altro che Egli.
Di questo Ente, possessore di ogni attributo e qualifica eccellente, nascono tutte le anime, fatte alla sua immagine e somiglianza.
Per quel motivo si afferma allora come postulato l'esistenza di un Dio Unico, Onnipotente, Onnipresente, Onnisciente.
L'idea monoteista pura fu ereditata dagli Ebrei che dopo con Mosè abbandonano l'Egitto; il Cristianesimo l'eredita dopo da essi. Ma l'idea monoteista pura, la concezione creazionista, rinchiude in sé un problema fondamentale per l'uomo.
Effettivamente, l'idea creazionista implica l'esistenza di un creatore, distinto, separato della sua creazione. Dio creerà all'uomo alla sua immagine, ma sarà sempre distinto, sarà separato di Lui.
Questa idea, magnifica in sé, non può perdurare molto tempo nello spirito dell'uomo che intuisce vagamente la sua origine divina ed ansia l'unione con Dio.
La concezione monoteista pura non dà soddisfazione ai problemi ed aspirazioni intime dell'anima umana che si sente eternamente esiliato, lontano e separato di Dio. L’uomo non può accettare ne rassegnarsi eternamente a tale situazione.
Per quel motivo tutti i sistemi creazionisti si vedono obbligati presto o tardi ad abbandonare le sue pure concezioni ed introdurre il ponte che soddisfaccia i desideri di deificazione e liberazione umana.
È per ciò che si osserva che in tutte appare in un momento dato l'idea della Redenzione, del Messia, in definitiva della grazia.
Si menzionò già che in ogni essere esiste l'intuitivo concetto della sua unità con Dio, cioè, della sua eventuale identificazione colla divinità.
Ma allo speculatore deista questa possibilità gli è apparso come impossibile perché a dispetto di essere figlio di Dio, generato per Lui, quello Dio è distinto a lui. L'uomo non può arrivare mai ad essere Dio; c'è un circolo che non può passare, impossibilità insuperabile.
Questo pensiero diventa ossessionante e la mente sempre agile ed adattabile lo respinge finalmente come inaccettabile di fronte all'intimo desiderio dell'anima umana.
Se Dio è distinto della sua creazione; se Dio è uno e l'Umanità un'altra, deve esistere tuttavia un nesso di unione, un ponte unendo questi due concetti separati.
Sorge allora l'idea del Messia, del Redentore.
Il Redentore è Dio condizionato alle possibilità mentali dell'uomo, alla mente umana. La Mente Divina si limiterà ad una relativa mente umana e Dio stesso si farà uomo.
Il Redentore si trasforma nel nesso di unione tra Dio e l'uomo, e niente o tutto si farà solo colla sua mediazione.
Come l'uomo, distinto di Dio, non può diventare simile a Lui direttamente, utilizza l'immagine del Mediatore per riuscirlo per mezzo di Lui.
Krishna, Cristo, il Messia, sono immagini e personaggi che simbolizzano questa idea.
Nessuna teologia creazionista pura può proporzionare all'essere la possibilità divina alla che aspira avere.
Il Giudaismo che mantenne originalmente l'idea monoteistica pura, e del quale derivò il cristianesimo, introdusse in un momento dato l'idea del Messia, per creare un ponte verso il Dio irraggiungibile e separato dell'Umanità.
Tutta questa corrente di pensiero, in definitiva, tende a dare all'uomo la possibilità, poiché gli è negata la possibilità di riconoscersi come Dio, come succede in altri sistemi, di arrivare mediante la concezione del Redentore, del Messia, in definitiva di quello che San Agostino sviluppò per esempio magistralmente come la Teologia della Grazia Divina.
Le dottrine creazioniste, come religione, portano tuttavia in sé il germe dell'eresia di fronte all'insegnamento ortodosso.
Esempio classico e chiaro di ciò è l'eresia sostenuta per Pelagio nei primi tempi del Cristianesimo.
Effettivamente. L'uomo, naturalmente, è l'immagine del suo perfetto Creatore ed in conseguenza gode essenzialmente di identici attributi. Soccombe posteriormente al peccato, per propria volontà, mediante l'esercizio del suo libero arbitrio e, sommerso nel male, è espulso dal Paradiso.
Allora, Pelagio arguisce, se per il cattivo uso del suo libero arbitrio l'uomo perse la sua relazione ed unione intima con Dio, lo stesso uomo può riconquistare quella possibilità persa applicando la sua libera volontà all'esercizio del bene.
Come si nota immediatamente, tale proposta elimina totalmente la figura di Cristo o, per dirlo più ampiamente, ogni idea e concezione Messianica, incorporata ortodossamente nella credenza religiosa dell'uomo. Ella si precipiterebbe, perché l'uomo potrebbe riuscir l’intima unione con Dio senza necessità di Redentore, e tutto il sistema religioso costruito attorno alla dottrina Creazionista Messianico crollerebbe.
Se il peccato è il male che separa al'uomo da Dio, e se quello peccato può essere superato per il semplice sforzo dell'uomo, non si ha bisogno di un Messia e tutta la figura di Cristo, per esempio, perderebbe il suo valore fondamentale.
Nella pratica, ogni concezione Creazionista, ogni teologia creazionista, implica tre aspetti essenziali.
L'INCARNAZIONE. Cioè la discesa di un essere Divino tra gli uomini che prende paramenti umani per potere partecipare della vita e del dolore umano e potere, mediante un atto di sacrificio, espiare in sé tutti i peccati, tutto il male in cui si è sprofondato l'Umanità. È la discesa di Dio alla terra sotto forma umana.
LA REDENZIONE. È il sacrificio di Dio, in beneficio dell'Umanità, come l'abbiamo espresso. È l'espiazione che realizza Dio stesso, in profitto delle sue creature ed in cui risplende l'infinita pietà Divina di fronte al peccato umano.
LA SALVAZIONE. Mediante l'atto espiatorio, immolandosi Dio sullo stesso altare dell'Umanità, l'uomo ottiene la possibilità della sua salvazione, di potere unirsi intimamente a Dio. E sebbene ciò non si riesca in forma diretta, rimane all'Umanità la possibilità di realizzare il suo anelo fondamentale: riuscire l'Unione Divina.
Nella pratica, le concezioni creazioniste, le sue religioni e teologie sono state sempre limitative.
Promulgano una Legge Divina, Rivelata, e sottomettono al'uomo a lei. Dentro di lei l'uomo può vivere, muoversi, svilupparsi, ma qui, nella terra, non può scappare dal circolo che ella l'impone.
Dopo la morte e grazie alla Grazia Divina, potrà abbracciare tutto. Potrà pensare e comprendere tutti i misteri, penetrerà tutti gli arcani della scienza; ma qui nella terra non potrà riuscire quell'aspirazione.
Esempio chiaro del pensiero creazionista lo costituisce il Cristianesimo e le sue religioni e chiese derivate.
Il Cristianesimo primitivo fu ampio e tollerò il volo dello spirito dell'uomo. Ma cristallizzandosi i concetti e formandosi sempre di più e più quello che risulto una chiesa in definitiva, tali pensieri furono limitati ed estirpati gradualmente.
Quelli che cercarono di scappare dalla restrizione furono condannati e separati.
Ogni pensiero dovette canalizzarsi attraverso il concetto Cristico e non pretenda mai l'uomo pensare più in là e volare oltre i limiti umani prefissati.
Dio, Uno nella sua Trinità, è la suprema Conoscenza; ma l'uomo non può raggiungerla bensì mediante il Figlio, mediante la sua Redenzione e Salvazione. Non può conoscere di un modo diretto, bensì solo indiretto. Non in questa vita, bensì dopo la morte fisica, quando l'anima, mediante la redenzione, è sicura della sua salvazione.
L'uomo che vive dentro il concetto creazionista è come l'uccello ingabbiato. Vedi, contempla l'infinito spazio, anela volare, desidera affondarsi nell'abisso infinito. Ma deve rassegnarsi ad aspirare; aspirare ad una liberazione che solo la morte, la cessazione di una vita terrena può proporzionargli dietro una vita di sacrificio, consacrazione e rinunzia.

 

Insegnamento 14: Il Concetto della Trinità

Dalla più remota antichità, dal momento in che cominciò a brillare la luce della ragione nell'uomo, questo si è formulato la domanda sul perché della sua esistenza. Come la sua esistenza corre parallela con l'esistenza di tutto l'universo, detta domanda si amplificò, fino a concentrarsi sulla manifestazione in sé. Ma, arrivando a questo punto, l'uomo dovette riconoscere la sua incapacità di penetrare in Dio, nel mistero della manifestazione.
Non può arrivare la mente umana a conoscere il come, quando, perché della manifestazione. Il mistero divino scappa dalle sue possibilità e deve accontentarsi o accettarlo così. Non si può discorrere sul’Assoluto, Eterno ed Inconoscibile, non si può discorrere sulla creazione in sé.
Ma l'uomo desidera la conoscenza di Dio, perché senza di Lui non può arrivare neanche a conoscersi nella sua essenza, e quello desiderio fu potente stimolo della mente, per almeno conoscere qualcosa, per alzare benché fosse solo una piccolissima parte del velo che copre il mistero della manifestazione.
Per quel motivo e come l'atto creatore di Dio in sé è inconoscibile per l'uomo, concentrò le sue forze mentali sui risultati apparenti della Creazione, per riuscire per quel cammino un barlume illuminativo.
Il risultato di quello sforzo si è plasmato nel concetto della Trinità, conosciuto ed affermato già per i saggi dell'antichità e che ricevé dopo, mediante il Cristianesimo, un impulso straordinario.
Si è detto poiché l'uomo cercò allora penetrare il mistero divino mediante i risultati apparenti della Creazione.
Non si può andare dall'Immanifesto a quello Manifesto, perché si partirebbe di quello che s’ignora, della cosa inconoscibile, del Gran Niente. Ma s’il pensiero della Creazione manifesta e conoscibile si semplifica e s’il pensiero diretto all'indietro si sottilizza, è possibile concepire che, in un momento dato, sconosciuto ed irraggiungibile in sé per l'uomo, la Madre Dormita sorge. Il Principio Inconoscibile di Dio sveglia e la manifestazione comincia.
Questo sorgere, questo risveglio include un vero atto creativo; stabilisce il Principio Creatore, potenziale, che porta in sé stesso tutta la potenzialità della manifestazione.
Questo Principio Creatore possiede, per dirlo così, acquisisce coscienza di sé stesso, e riconoscendosi a sé stesso, stabilisce una conoscenza attiva di se stesso. L'unità acquisisce aspetto duale, l'uno si specchia nella sua coscienza e si converte in due. E questa conoscenza di sé stesso, questo specchiarsi in sé stesso, stabilisce una relazione, un nesso, un campo vibratorio che perdura per tutta la durata di un ciclo di Creazione. Vibrazione che si riconosce come infinito ed increato amore, su il quale tutta la creazione si governa. È Foá, o vita dell'Universo.
Nessuna delle antiche scuole si impegnò a divulgare questa elevata concezione trinitaria che solo i discepoli più avanzati conobbero, perché porta effettivamente il pensiero troppo vicino all'Immanifesto, tentando discorrere su ciò.
Ma il Cristianesimo lo toglie a piena luce per appoggiare e dimostrare la divinità di Cristo e facendo di questa verità rivelata un articolo di fede lo portò al campo della teologia.
La teologia Cristiana sviluppò ampiamente il tema dalla Trinità riuscendo ad illuminare straordinariamente il concetto sulle persone della Divina Trinità e la sua relazione tra sé.
La Trinità Cristiana comprende a Padre, Figlio e Spirito Santo.
Dio Padre è il Dio Creatore, il Principio Creatore Inconoscibile; cioè, il primo Principio così come l'antica dottrina trinitaria l’interpreta. Ciò non significa che si dica che le altre due persone della Trinità non siano anche creatrici, ma si appaiono in un'altra forma.
Il Figlio è parte di Dio, la parte totale di Sé stesso, che conosce la sua esistenza. È dell'autoconoscenza di Dio che sorge la seconda Persona dalla Trinità. Per quel motivo con giusta ragione il Dogma Cattolico afferma che il Padre generò al Figlio come la pura, divina e consustanziale espressione della Volontà e della Conoscenza eterna.
Il Figlio è consustanziale col Dio Padre, è Dio stesso, come il Dogma lo afferma, perché non è altro che la conoscenza e coscienza che ha Dio della sua esistenza.
Dopo il dogma afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio e che non è generato.
Effettivamente, Dio Creatore (Padre), si conobbe, si generò a Sé stesso (Figlio), e conoscendosi, si amò (laccio di unione).
Questo amore Divino ed Increato che prima si menzionasse come Foá, è lo Spirito Santo, non generato bensì risultante della relazione tra le due prime persone della Trinità.
La Creazione e la nascita delle tre persone è forzosamente un atto simultaneo ed inconoscibile.
Nel primo istante che appare il Primo Principio mediante mistero divino imperscrutabile, appare simultaneamente la Seconda Persona e si stabilisce il laccio che è la Terza Persona.
Se non fosse così si negherebbe l'onniscienza di Dio.
Dunque le tre persone sono allo stesso tempo eternamente Esistenti, eternamente Creatrici, eternamente Frutto e Sussistenza della Creazione.
La conoscenza trinitaria di Dio, riuscita per la teologia basata nella rivelazione e soccorsa per la ragione, ha aperto all'uomo, specialmente al cattolico, un’amplissima prospettiva e possibilità.
Si è capito che le anime sono individuali solo attraverso l'apparenza che la legge di contrarietà analogica spiega. Cioè, solo come conseguenza della manifestazione attiva che implica un allontanamento del centro statico, coi conseguenti aspetti duali.
L'uomo nota che è reale ed intimamente legato a Dio che abita in lui e che, cercando e sforzandosi, potrà trovarlo.
Dio si trasforma in un concetto vivo, sempre esistente, sempre in contatto con l'anima umana. E questo contatto può aumentarsi e diventare sempre di più intimo mediante conoscenza ed amore.
Questa dottrina fruttificò straordinariamente nelle anime mistiche cristiane e li portò a grandi altezze.
In lei si basa anche il concetto del Figlio Inviato per Dio, dell'Incarnazione Divina, che periodicamente discende tra gli uomini per servire come modello luminoso di perfezione.

 

Insegnamento 15: Teologia dell'Incarnazione Divina

Le Teologie della “Esistenza” e la Teologia della “Non Esistenza” rappresentano due estremi della concezione dell'Universo e dell'uomo.
La Teologia dell'Emanazione Divina rappresenta una posizione intermedia, è la Teologia del mezzo, veramente dell'essere e non essere.
Come concetto fondamentale anche ella si basa sull'Unità Assoluta di Dio.
La manifestazione è illusoria in senso assoluto, e l'unico vero è quello ch'è Eterno, l'Immanifesto, lo Spirito Sempre Esistente.
L'illusione nata dell'ignoranza genera nell'essere il concetto di separatismo, ma l'essere che riesce la realizzazione vince quella falsa idea ed ottiene l'illuminazione necessaria per comprendere staticamente l'Unità Assoluta dell'Universo con Dio.
La mente umana è incapace di riuscire per sé quella comprensione.
Per ciò, ed utilizzando il concetto di permanenza, bene può affermarsi, nella concezione di questa dottrina, che la permanenza Divina nell'essere smette di essere tale non appena entra nel dominio della percezione mentale.
Detto in altre parole: la mente umana è come un denso velo che impedisce all'uomo di conoscere a Dio; l'uomo non può conoscere razionalmente a Dio perché non può penetrare il suo mistero, la sua vera essenza.
L'unione intima e naturale che esiste tra Dio e l'uomo è oscurata per i concetti di separatismo alzati per la mente che crea nell'uomo un'illusione; l'illusione di un'esistenza irreale, non esistente.
Per ciò i saggi istruttori di questa dottrina hanno evitato sempre discorrere sull'Immanifesto, su Quello, orientando tutta la sua azione mediante questo postulato caratteristico: Tutto è illusione; quello ch’è Eterno è l'Unica Verità.
Riuscire la conoscenza di questa Unica Verità è la meta suprema dallo studente che deve riuscire a concentrare tutti i suoi pensieri su un'unica idea, l'Idea Unica, la quale rappresenta uno stato di elevazione mentale tanto straordinario, per la sua concentrazione, che produce in ultima istanza uno stato di coscienza di tale ampiezza che il concetto di separatismo del “Tu sei Tu” cede a quello di “Tu sei Quello.”
I saggi della Madre hanno seguito sempre la linea generale di questa concezione, basata nell'idea dell'Essere e Non essere.
Compresero la forza che un ardente desiderio di conoscenza può dare al pensiero umano, ma ammisero anche le limitazioni che impediscono di arrivare alla totale conoscenza sul'essenza di Dio.
Se per esempio si affermasse che Dio e l'Universo sono una sola cosa, che il suo Spirito sta in tutta cosa esistente e che in conseguenza Dio evolve e si perfeziona con lui, affermeremmo che quello che concepiamo come essenzialmente perfetto avrebbe bisogno di perfezionarsi mediante la sua manifestazione, quello che è assurdo.
Se si afferma che l'Universo è un'emanazione, una creazione della stessa sostanza di Dio, si cadrebbe anche nell'assurdo, perché l'Universo è evidentemente imperfetto, come si apprezza facilmente. L'Universo evolve costantemente per riuscire la perfezione ma benché sia simile a Dio, non sarà mai Dio.
Appare allora una dualità, un concetto di un Dio separato del suo universo, uno perfetto, l'altro eternamente imperfetto; questo è un'incongruenza ed espone l'insolubile mistero del perché della Creazione.
La mente ha tentato infinità di formulazioni simili, senza potere arrivare mai ad una soluzione, senza potere risolvere mai il mistero fondamentale del perché della Manifestazione Divina.
Mediante la ragione si può riuscire un concetto vago e generale di Dio. L'intuizione può amplificare questo, benché oscuramente, e l'estasi può dare la conoscenza chiara della visione beatifica, ma sarà sempre solo un riflesso, non sarà mai la verità diretta.
Tuttavia, in tutto questo processo, la mente, acutizzando le facoltà dell'uomo mediante il corretto discorrere, continua a chiarire e dissipare dubbi che sebbene non gli daranno mai la conoscenza totale di Dio, l'avvicinano e danno la sensazione di possederlo sempre di più.
In questo risiede il valore essenziale della Teologia la quale, senza riuscire a dare risposta ai misteri di Dio, promuove al'uomo verso Lui, lo santifica ed abilita ad una vita di maggiore perfezione, ma non rivelando i grandi misteri Divini dell'Immanifestazione e della Manifestazione.
Di fronte ad essi, il teologo ancora più straordinario deve richiamarsi a silenzio.
Effettivamente, bene si sa che l'Inmanifesto non ammette definizione. In vece, in quanto alla Manifestazione Divina, bene può accettarsi che esseri privilegiati possano considerarla nella sua unità indissolubile e possano scorgere la totalità indistruttibile dello Spirito Universale ed ancora il Principio Fondamentale dell'Universo.
Significa ciò che si sta allora di fronte a due Spiriti differenti?
Per l'Immanifesto niente ha senso. La negazione non ha senso; neanche la materia, la mente e l'energia. Non ha principio, non ha fine, né vuoto, né pienezza. Si usa la parola Niente, benché neanche significhi niente o qualcosa.
Volere mostrare la realtà della Manifestazione in base all'Immanifesto, porta al fallimento; tuttavia, la Manifestazione è la migliore dimostrazione dell'Immanifesto, e bene può affermarsi che Quello che È non lasciò mai di essere quello che non È.
Il gran gioco, la relazione misteriosa tra l'Immanifesto e quello Manifesto è impenetrabile per l'uomo. Per quel motivo, si disse già, i veri saggi conservano di fronte a questa questione un riverente silenzio, limitandosi a discorrere unicamente sulla manifestazione.
E considerando alla Manifestazione, affermano che Dio, EHS, la Manifestazione Divina, è il Principio, la Radice Unica ed Assoluta della Creazione Universale; è la sua essenza ed esistenza.
Di fronte a questa affermazione sorgono immediatamente diversi dubbi e domande che è necessario chiarire.
Effettivamente, se Dio –e si parla naturalmente già nel terreno della Manifestazione– è infinito, inconoscibile, incausato, eccetera, come può originare questo universo finito, relativo, conoscibile e multiplo? La causalità come origina l'incausato?
Alcuni replicano che ancora nel suo Universo finito, Dio non smette mai di essere quello che è e che la Creazione è un'illusione, ma in tale caso detta illusione sarebbe qualcosa di differente di quello che l'originò e si terrebbe un Universo completamente separato del suo Creatore e distinto di Lui.
Altri dicono che Dio è un immenso insieme trovandosi unito inseparabilmente col suo Universo; che tutto è Dio. Ma questa spiegazione implica che tutto dovrebbe essere statico e non cangiante, quando l'evoluzione costante, il divenire, è la caratteristica dell'Universo Manifesto.
Si tentò anche la spiegazione dicendo che Dio avesse creato qualcosa di Lui stesso, simile a Lui e che non potrebbe tornare mai ad Essere Egli stesso per tutta l'Eternità.
Neanche questa spiegazione soddisfa: Dio non seria più allora il principio unico assoluto, poiché esisterebbe sempre qualcosa fuori di Lui che, benché simile, non sia Egli stesso.
Tuttavia è possibile trovare una risposta adeguata grazie all'applicazione della legge di contrarietà analogica.
Ella permette di affermare che Dio, la Manifestazione, è della stessa essenza ed esistenza della cosa Assoluta, della cosa Eterna, benché apparentemente non ci sia apparsi così.
La cosa Eterna si offre a Sé stesso di tale modo che apparentemente sembra un altro: sembrerebbe che fossero due invece di Uno.
Mentre dura questa dualità apparente, Dio è l'essenza ed esistenza Eterna ed il suo Universo è impregnato della sua essenza ed esistenza, ma questo non è l'essenza ed esistenza in Sé.
Per questa legge di contrarietà analogica, allora, l’Eterna si appare finito e condizionato, manifestandosi a Sé stesso, ma non appena cessa il movimento di manifestazione tutto ritorna ad essere quello che fu sempre e sarà altra volta quello che non smise mai di essere.
L’Infinito, l’Assoluto è solo apparentemente finito nell'Universo.
Si è visto come è il concetto teologico della Manifestazione in Sé.
Quale è ora quello che si sostenta sulla Creazione Universale?
Due tendenze teologiche esistono sulla Creazione, due concetti che affermano, uno che l'Universo coesiste con Dio e è eterno come Egli, ed un altro che dice che l'Universo fu creato non dall'eternità bensì tra il tempo. Se li distingue come la dottrina “ab aeterno” e la dottrina “in tempore.”
Entrambe rappresentano tendenze estreme non concordanti colla dottrina mezza della Teologia, che si considera qui.
Effettivamente, ogni creazione implica un principio, non essendo possibile allora una Creazione “ab aeterno” perché significherebbe un principio nell'Immanifesto, nel quale non ci sono principio né fine, né è possibile conoscere niente.
Neanche può accettarsi una Creazione “in tempore” perché sarebbe qualcosa di separata dall'esistenza di Dio, amen di lasciare come incongruente l'aspetto di una Creazione non predestinata.
L'interpretazione concordante è allora l'intermedia:
La Creazione, come manifestazione, è eterna. Dio inconoscibile porta in sé, potenzialmente, tutti gli aspetti e fattori determinanti della Creazione. Ella è eterna, potenzialmente.
Tuttavia non è eterna com’espressione di Dio, bensì è limitata nel tempo, in un periodo di durata.
Germoglia dal seno di Dio e si contrae, ritornando dopo di nuovo al seno di Dio.
Per quel motivo si dice che la Creazione Divina dell'Universo è potenzialmente eterna, è compresa in Dio Inconoscibile, ma è fatta attivamente per un tempo determinato per Dio Conoscibile.
Rimane ancora la questione di quello con che Dio fece il suo Universo.
Alcuni dicono che lo fece del Niente, prendendo questa parola nel senso dell'Immanifesto; altri dicono che emanò l'Universo di Sé stesso, della sua stessa Sostanza.
Entrambe le affermazioni così espresse non sono soddisfacenti perché implicano incongruenze.
Se Dio emanò l'universo di Sé stesso, della Sua stessa Sostanza, si dovrebbe ammettere che quella sostanza, eternamente semplice, ammetterebbe essere composta per la creazione; questo è un'incongruenza perché, come già si disse, la sostanza di Dio è eternamente semplice e non può smettere di esserlo.
Neanche può crearla del Niente, perché ciò significherebbe l'esistenza di qualcosa nell'Immanifesto, previa alla creazione ed, in conseguenza, distinta di Dio.
L'unica interpretazione vitale è allora affermare che Dio fece l'Universo dal Suo Niente, ma prendendo questo concetto nel senso del suo immenso vuoto o stato potenziale, stato che scappa alla mente umana, inconoscibile, e che con lei creò qualcosa di libero, nuovo, anteriormente increato, unico.
Dio allora creò l'Universo dal’eterno ma nel tempo fissato per la legge Divina. Egli lo creò dall'immenso Vuoto potenziale di Sé stesso, con la Sua Stessa Sostanza Differenziata.
Attraverso tutti questi concetti fluisce costantemente il movimento, l'idea di Essere e Non Essere, di Potenziale ed Attivo e viceversa.

 

Insegnamento 16: L'Incarnazione Divina

Da quando l'uomo, mediante lo svolgimento della ragione, riuscì a pensare, immaginare e relazionare razionalmente e poté osservare con sguardo critico il mondo fenomenico, la Manifestazione che lo circonda, cominciò a scoprire relazioni ed analogie tra quello che, infine, si chiama Macrocosmo e Microcosmo.
Detta scoperta, unita all'ancestrale impulso verso Dio, a quell'eterno sentimento, a quell'eterno intuire la sua origine divina, fa sorgere nella mente dall'uomo (Maestri iniziati e successivi discepoli) l'idea, il desiderio di divinizzarsi, di diventare già dio, direttamente o mediante l’unione col vero Dio Macrocosmico.
L'analogia fa sorgere la convinzione di che l'anima umana rinchiude in sé la potenza necessaria affinché l'uomo possa manifestarsi col massimo splendore dei suoi attributi, e se l'uomo possiede realmente la potenza della Creazione, può arrivare a Dio, avvicinarsi integralmente a Lui.
Ma uno scoglio si intromette. La totale disarmonia interna.
L'anima umana è squilibrata, oscilla tra la conoscenza e l'affettività. Il sapere e la fede si combattono come nemici.
Anche il concetto Trinitario, compreso e capito, non poté penetrare di per sé nell'anima umana col suo concetto di vita ed amore. Fu un concetto astratto che non illuminò più che in un certo grado al'anima umana, ed ancora gli esseri che volarono alto attraverso l'antico concetto trinitario, attraverso la sua profonda comprensione, conservarono in sé un certo separatismo e superiorità di fronte alla massa umana che non è arrivato a quelli stati.
Questi uomini perfetti, quegli esseri scelti, conservano sempre una qualcosa, una macchia, un laccio, e non possono rappresentare allora pienamente quell'ideale umano divino, non possono essere modello né guida che orienti e canalizzi i desideri di deificazione umana.
La Divina Trinità Astratta niente può nell'anima umana. È necessario che diventi concreta, che si materializzi attraverso un essere perfetto, simile agli uomini ma di distinta natura: si richiede allora una vera Divina Incarnazione.
Tutti i testi sacri rivelati fanno allusione a questo straordinario essere, immagine viva dell'uomo perfetto e ideale, modello di tutta l'Umanità, e su chi questa Umanità può depositare la sua fiducia e sicurezza, perché imitandolo ed amandolo –che è un'altra forma di dire unirsi– riusciranno a trovare il sentiero che conduce a Dio, perché è il messaggero e guida che Dio stesso invia.
Questo essere, la Divina Incarnazione, non appartiene al ciclo umano. La sua natura, davvero divina, sta fuori della portata mentale dell'uomo.
Tuttavia, partecipa allo stesso modo alla natura della mente divina ed umana, divina perché appartiene ad un altro ciclo di vita, non all'umano, ed è un'espressione perfetta e co-partecipe della Trinità, ed inoltre umana, perché per essere modello dell'uomo deve essere della sua stessa natura.
La sua nascita è divina, senza macchia, senza legge Karmica di causa ed effetto umano, ma incarnando, per essere uomo, prende su sé tutto il carico del karma.
Il vero sacrificio è l'Incarnazione. La sua vita e la sua morte come umana è parte del sacrificio totale.
 La Trinità è pienamente attiva in Lui, è  Egli stesso.
Tutti i doni di amore, conoscenza e vita trovano attraverso Lui la sua più ampia espressione: è l'immagine della pienezza umana.
Il mistero della Divina Incarnazione è uno dei più importanti della Teologia e benché generò tremende controversie, la figura del Dio Incarnato illuminò l'anima degli uomini, conducendoli alle più alte esperienze morali e spirituali.

 

INDICE

Insegnamento 1: Origini della Teologia
Insegnamento 2: Divisioni della Teologia
Insegnamento 3: Esistenza della Teologia
Insegnamento 4: Basi e Metodo
Insegnamento 5: Postulati
Insegnamento 6: Propriet à della Teologia
Insegnamento 7: Il Concetto Ariano della Creazione
Insegnamento 8: Evoluzione del Dogma
Insegnamento 9: Teologia dell'Esistenza
Insegnamento 10: Il Vedanta
Insegnamento 11: Teologia della Non Esistenza
Insegnamento 12: L ’Ottuplo Sentiero
Insegnamento 13: Teologia della Creazione
Insegnamento 14: Il Concetto della Trinità
Insegnamento 15: Teologia dell'Incarnazione Divina
Insegnamento 16: L'Incarnazione Divina

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